ALESSANDRO MAGNO E L’IMPERO ELLENISTICO
di Max Trimurti -
Figlio di un re, ha solo vent’anni quando sale al trono di Macedonia: il suo sogno è la conquista del mondo. Gli basteranno dieci anni per affidare alla posterità un’impresa il cui più grande lascito è il concetto di autorità carismatica del sovrano, detentore del potere in virtù di legittimità e forza.
Nel mondo greco arcaico e classico il sistema di organizzazione politica e sociale più diffuso è quello della Polis (città), un raggruppamento formato al massimo da qualche migliaio d’uomini. Tutto intorno al centro urbano, un territorio rurale, con qualche villaggio, fornisce le derrate necessarie alla vita quotidiana. Una storia comune, culti e santuari di divinità, regole di vita trasmesse di padre in figlio e accettate da tutti, il sentimento di una comunanza di destini di fronte ai pericoli esterni: questi i collanti che assicurano la vita a queste piccole unità civiche che si sono mantenute per secoli, talvolta espandendosi in terre lontane per fondarvi delle colonie.
Le più potenti e le più attive di queste città, come Sparta o Atene, hanno cercato di estendere la loro influenza su alcune città vicina: ma i tentativi si sono rivelati effimeri, non riuscendo mai a soffocare la passione per l’autonomia che i Greci consideravano fra le cose più care.
In alcune regioni meno urbanizzate, in particolare nella Grecia settentrionale, la monarchia primitiva è ancora il sistema politico prevalente. L’autorità di un sovrano è riconosciuta dall’insieme di un gruppo etnico, come in Macedonia e in Epiro. Questa personalizzazione del potere favorisce le imprese militari, se il monarca coltiva ambizioni di potere. È il caso di Filippo II di Macedonia che, alla metà del IV secolo avanti Cristo, con un’abile politica e un innato talento militare, riesce a fare del regno di Macedonia uno degli stati più potenti del mondo greco. Il suo obbiettivo è quello di federare gli Elleni intorno a lui, per poterli poi guidare in guerra in Asia Minore, regione che dipende dall’Impero Persiano. Si tratta, in effetti, di liberare dal giogo persiano le città greche del litorale anatolico e di procurarsi un enorme bottino nei territori del Gran Re.
Non risulta che Filippo, politico esperto, avesse mai avuto in mente un disegno più vasto di questo. La sua morte tragica, nel 336, per mano di un assassino, infliggerà un colpo mortale ai progetti di conquista appena abbozzati.
Ma il progetto avrà ben altro sviluppo quando sarà ripreso a titolo personale da suo figlio Alessandro. Il giovane re (aveva 20 anni alla morte del padre), dopo essersi garantito il rispetto della sua autorità nel regno con l’adozione d’energici provvedimenti, avvia nel 334 una spedizione in Asia, attraversando i Dardanelli. Sbarcando in Asia Minore, il suo primo atto politico ufficiale è quello di piantare emblematicamente nel suolo anatolico la propria lancia, nell’intento di manifestare a tutti che intendeva prendere possesso delle nuove terre per diritto di conquista. Il suo secondo atto è, invece, quello di visitare il vicino sito della città di Troia, dove si trovava la tomba d’Achille, dal quale discendeva per parte di sua madre Olimpia (legittimità dinastica). Questi due gesti simbolici, dal chiaro intento ideologico, evidenziavano le intenzioni e le ambizioni del nuovo sovrano: conquistare un mondo, l’Asia, obiettivo al quale dedicherà circa dieci anni, con una costanza e un ardore che non si fermeranno davanti ad alcun ostacolo. Altro punto emblematico dell’attitudine di Alessandro è l’episodio del “Nodo Gordiano”, nel quale mostra al mondo di non temere le leggende ma di credere fermamente nella sua missione.
A partire dalla prima battaglia, sulle rive del fiume Granico, nei pressi del Mar di Marmara, egli prende il sopravvento sulle forze dell’esercito persiano. In un anno diviene padrone di tutta l’Anatolia occidentale. Dario Codomano, il Gran Re persiano, tenta di sbarragli la strada per la Siria nell’autunno del 333: ma viene sconfitto nella piana di Isso, lasciando nelle mani di Alessandro la sua famiglia e tutti i suoi tesori, mentre la città di Tiro, in Fenicia, verrà conquistata dai Macedoni dopo un assedio di diversi mesi.
Dario propone quindi al vincitore di lasciargli tutte le conquiste, accompagnate da un’enorme taglia per la liberazione della sua famiglia. Per il Re dei Macedoni si tratta di un successo prodigioso, al di là d’ogni più ragionevole previsione. A quel punto, il più esperto dei suoi generali, Parmenione, vecchio compagno di Filippo, suggerisce al giovane sovrano: “Se fossi Alessandro, accetterei”. A quell’invito indiretto Alessandro replica: “Anche io, se fossi Parmenione”. Il dialogo, riportato da Plutarco, potrebbe essere anche apocrifo, ma traduce perfettamente i sentimenti di Alessandro, chiamato a un destino speciale, a una missione divina,che lo stesso ambiente di corte non era in grado di capire. L’idea di un impero, estranea alla tradizione ellenica, era già fortemente radicata nella sua mente.
Egli ne trovava il modello nella monarchia achemenide (così chiamata dal nome di un lontano antenato) della Persia. Questa, fondata da Ciro il Grande nel VI secolo avanti Cristo, aveva riunito a poco a poco sotto l’autorità di quello che era chiamato il Grande Re, immensi territori in Asia e Africa (Egitto e Cirenaica). Da circa tre secoli, questo stato composito, geograficamente ed etnicamente eterogeneo, era governato con efficacia e con una certa facilità attraverso un’amministrazione che, una volta regolarmente riscosso il tributo dovuto al tesoro reale, rispettava gli usi, le credenze e i costumi di tanti popoli diversi. Grandi circoscrizioni territoriali erano affidate a funzionari di alto rango, i Satrapi, che rappresentavano la base di questa gestione politica decentralizzata. Il sistema era ben conosciuto dai Greci, poiché Erodoto e Senofonte ne avevano già parlato nei loro scritti. Tutto si reggeva sul legame personale del Satrapo con il sovrano, detentore di un potere senza limiti e senza controlli. Questo vassallaggio diretto manteneva unito e compatto un insieme geografico che si estendeva dall’Anatolia e dall’Egitto fino all’Afghanistan e alle steppe dell’Asia centrale, fra il Mar Caspio e il Mare di Aral. Insomma, una complessa struttura politica, dalla composizione eterogenea e dalle frontiere estese, agli antipodi del microcosmo unitario della città greca.
All’inizio del V secolo avanti Cristo, quando il Gran Re Dario, e poi suo figlio Serse, nel perseguire la loro volontà di espansione, avevano voluto sottomettere i Greci, fieri della loro libertà, si assiste allo scontro fra questi due mondi antagonisti, nel quale i Greci hanno il sopravvento.
Nel 331 Alessandro, lasciando le coste del Mediterraneo, dove non farà più ritorno, dà inizio a una grande avventura che in otto anni cambierà la faccia del mondo occidentale, edificando un nuovo impero. Le tappe dell’impresa sono note. Dario, che aveva riorganizzato il proprio esercito, lancia la sua battaglia decisiva sulle rive nell’alta piana del Tigri, a Gaugamela (spesso chiamata, a torto, anche Arbela). Dopo un duro scontro, dove rifulge il genio militare del re macedone, le truppe persiane sono sconfitte e messe in rotta e il Gran Re è costretto a fuggire nelle province del Nord, dove un Satrapo, evidentemente poco fidato, lo fa assassinare. Alessandro si impossessa, in sequenza, di Babilonia, di Susa e di Persepoli, le capitali dell’impero achemenide in Mesopotamia e in Iran.
Dopo aver messo le mani sui tesori del Gran Re, del quale si presenta come il successore, Alessandro riparte verso nord e poi verso est. Una serie di campagne lunghe e difficili gli permettono di conquistare l’Afghanistan, quindi le ricche province dell’Asia centrale, la Bactriana e la Sogdiana, fra il Caspio e il lago Aral, fino all’alta catena dell’ Hindukush. Infine, nelle ultime operazioni si spinge nel profondo oriente per impossessarsi, senza peraltro distruggerla, di tutta la monarchia achemenide. In effetti, con Alessandro non si tratta più, come un tempo, di effettuare operazioni difensive o offensive di portata limitata: la volontà che anima il conquistatore macedone è quella di fondare un impero e di porre sotto il suo controllo il favoloso dominio del Gran Re.
Sebbene fortemente influenzato dalla cultura greca, educato e formato da Aristotele, il figlio di Filippo il Macedone, possiede innato il senso della regalità. Egli non ha né l’attitudine mentale né le tradizioni civiche che impediscono agli Elleni di concepire un’autorità teocratica come quella di un sovrano della Persia. Del resto, la dinastia degli Argeadi (da Argo), che regnava sulla Macedonia, si credeva discendesse da Ercole, anche lui figlio di Giove (Zeus). Questa filiazione divina sarà confermata ad Alessandro, quando andrà a consultare, in pieno Sahara, l’oracolo egiziano di Zeus Ammon, venerato dei Greci di Cirene. Questa avventurosa spedizione, seguita alla costruzione di Alessandria, dopo la conquista dell’Egitto nel 332, rafforzerà la volontà del re nella sua determinazione di conquistare l’Oriente fino ai confini dell’India e della Valle dell’Indo.
Alessandro avrebbe voluto avanzare anche all’interno dell’India, ma, per la prima volta i suoi soldati si rifiuteranno di seguirlo. Accettando la situazione, Alessandro fa costruire una flotta sulle rive dell’Indo per poter discendere il fiume sino all’Oceano indiano. Da lì raggiunge di nuovo l’Iran per via di terra, mentre i vascelli lo scortano per mare fino al Golfo Persico. Arrivato a Susa, vi celebra le nozze con la principessa persiana Roxane (Rossane) e impone a diecimila dei suoi soldati di sposarsi con donne del luogo (asiatiche). Queste feste avevano, nel suo intento, lo scopo di consacrare la fusione delle razze sotto la sua alta autorità, gettando, in tal modo, le basi di un impero euroasiatico e multirazziale e propagando un’idea completamente nuova nella mentalità dei Greci.
Per amministrare questo vasto insieme politico e sociale, Alessandro mantiene in vita l’efficace e agile sistema delle Satrapie, con qualche aggiustamento. La fama della sua gloria e dei suoi eccezionali trionfi non tarda a diffondersi. Ambasciatori delle più diverse e lontane contrade vengono a rendergli omaggio o a sollecitare il suo appoggio: non solamente le città greche, ma anche la ricca Cartagine e i popoli dell’Italia meridionale, dalla Sicilia all’Etruria, perfino gli Iberici, i Celti dell’Europa danubiana e gli Etiopici. Si trattava, in effetti, di un indiretto riconoscimento del nuovo impero macedone, il cui prestigio si spingeva fino alle frange del mondo allora conosciuto.
Alessandro progettava altre conquiste, in Arabia e forse in Europa, quando un attacco di malaria lo uccide nel 323. Morto a meno di 33 anni, aveva avuto il tempo di costruire un impero ma non di consolidarlo con istituzioni salde e durevoli. I suoi successori, i generali macedoni, si sforzeranno per circa quarant’anni di ricostituire, a proprio vantaggio, un’eredità che nessuno di loro riuscirà a meritare pienamente. Con la sola eccezione di Tolomeo, che avrà la saggezza di contentarsi dell’Egitto, i successori si affronteranno in una serie di conflitti nella cui polvere scompare anche il miraggio dell’impero universale.
Il breve successo dell’impresa di Alessandro servirà di riferimento alla seconda generazione dei suoi successori, che raccoglieranno, al termine di queste sanguinose lotte, i diversi pezzi dell’eredità d’Alessandro fondando delle solide dinastie. Gli Antigonidi in Macedonia e in Grecia, i Seleucidi nel Medio Oriente, i Lagidi in Egitto e Cirenaica, gli Attalidi in Asia Minore, intorno alla città di Pergamo. Tutti perpetueranno, per diverse generazioni e con alterne fortune, il sistema politico originale che Alessandro aveva concepito, combinando in esso la legittimità reale macedone e l’efficacia dell’amministrazione achemenide.
Quella che è generalmente chiamata l’epoca ellenistica, fra la morte d’Alessandro (323 a.C.) e la conclusione della conquista romana (31 a.C.), corrisponde pertanto alla fioritura e al successivo declino di queste grandi monarchie a vocazione imperiale.
A differenza della tradizione civica, che rimarrà ben vivida nelle città greche, questo sistema politico non è fondato sulla legge, ma sull’autorità carismatica del sovrano, detentore del potere in virtù di una legittimità e della forza (vittoria) delle armi, che, per certi aspetti, non è altro che una manifestazione indiretta del favore degli Dei. La potenza senza eguali di questo nuovo sistema politico – se rapportata a quella delle città – permette di modellare il mondo secondo una volontà autonoma e a proprio piacimento. I re fondano nuove città, sull’esempio di Alessandro, e possono onorare i santuari attraverso donazione e costruzioni fastose. Lottano contro la pirateria e il brigantaggio e il loro intervento permette persino di evitare conflitti. Rappresentano, pertanto, una nuova concezione dello Stato, che non si sostituisce a quella delle città, ma che coesiste con esse, grazie a un complesso gioco di alleanze e vassallaggi.
Fino alla conquista romana, questi regni rappresentano nel mondo mediterraneo l’esempio e l’idea che la monarchia è il sistema politico capace di organizzare, sotto un’autorità comune, vasti territori, come preconizzato dall’allargamento delle prospettive aperte dai viaggiatori e dai commercianti. Una novità storica fondamentale che, attraverso l’interpretazione attribuita da Roma con il sistema ambiguo del principato, contribuirà a marcare la storia successiva dell’Europa.
Per saperne di più
A. B. Bosworth, Alessandro Magno. L’uomo e il suo impero, Rizzoli, Milano, 2004.
C. Frugoni, La fortuna di Alessandro Magno dall’Antichità al Medioevo, La Nuova Italia, Firenze, 1978.
D. Musti, Storia Greca: linee di sviluppo dall’età micenea all’età romana, 3ª ed., Laterza, 2008