GIOVANNI PASCOLI, RITRATTO DI UN POETA SOCIALISTA DA GIOVANE
di Rosita Boschetti -
Da studente frequentò i circoli anarco-socialisti entrando in contatto con Andrea Costa e Alceste Faggioli. Non si limitò a scrivere manifesti e poesie a sfondo sociale ma prese parte attiva alla battaglia politica bolognese. Il suo socialismo venato di patriottismo non fu quindi un episodio temporaneo, bensì un ideale mai rinnegato.
Molte biografie di Pascoli accennano alla sua fede socialista degli anni giovanili, ma non si soffermano sul suo effettivo impegno politico: che incarichi aveva il poeta all’interno dei circoli socialisti clandestini? A quali personaggi storici era legato?
Eppure, si può dire con certezza che la sua attività politica va anche oltre la composizione di poesie a tema rivoluzionario; spesso Pascoli lavora fianco a fianco con uomini come Andrea Costa e Alceste Faggioli, fondamentali per la nascita e la diffusione delle idee socialiste nel nostro Paese.
Rimini, negli anni Settanta dell’Ottocento, è una città in fermento e molti partecipano attivamente alla vita politica: nell’agosto del 1872 si svolge a casa Santinelli, sede del Fascio operaio, il primo congresso dell’Internazionale, durante cui il movimento anarchico si distacca dalla democrazia mazziniana.
Proprio a Rimini, Pascoli frequenta il liceo ed è qui che nasce il suo interesse per le questioni politiche e sociali, grazie anche all’amicizia di Caio Renzetti e Domenico Francolini, due giovani attivisti riminesi, con cui Pascoli, come racconta Nozzoli, parla «ad alta voce di giustizia sociale e di progresso».
Le convinzioni socialiste e anarchiche di Pascoli nascono in anni di forti difficoltà per la sua famiglia: probabilmente il poeta pensa spesso a tutti coloro che, come lui, sono in ristrettezze economiche e vorrebbero ribellarsi ad un sistema politico che non si spende per il popolo. Una prima testimonianza di questa presa di posizione si trova in una sua canzone, pubblicata a Rimini nel 1872, in occasione delle nozze di Anna Maria Torlonia e Giulio Borghese, in cui il poeta si scaglia contro l’ipocrisia dei potenti, che si arricchiscono fingendo di compiere azioni per il bene comune.
Dopo un anno a Firenze, di cui restano pochissime informazioni ad eccezione di una lettera scritta proprio nella città toscana, Pascoli ottiene la licenza liceale a Cesena nel 1873, iscrivendosi poi alla Facoltà di Belle Lettere di Bologna. Qui, ad un primo periodo tranquillo, segue una fase di intenso impegno politico: nel 1875 è tra gli studenti che contestano il Ministro dell’Istruzione Bonghi in visita nella città e, per questo gesto, perde la borsa di studio grazie a cui si era iscritto all’Università.
Da questo momento, non potendo contare né sulla borsa di studio né sul piccolo patrimonio famigliare, Pascoli deve interrompere gli studi. Fino al 1880 vive miseramente, ma si dedica con passione al movimento rivoluzionario socialista, divenendo amico intimo di Andrea Costa e di numerosi altri internazionalisti, come Gian Battista Lolli, Luigi Cecchini e Teobaldo Buggini.
Le prime frequentazioni delle loro riunioni, perlomeno da quanto è possibile documentare oggi, risalgono al 1876, l’anno in cui Costa viene rilasciato dopo il celebre processo conclusosi con l’assoluzione del 16 giugno. Nei discorsi del giovane imolese ci sono un pensiero e un sentimento di natura nuova e rivoluzionaria, che travolgono il giovane Pascoli, già orientato al socialismo dagli anni del liceo: «[…] noi vogliamo l’umanamento dell’uomo. Donde si deduce che non è già l’emancipazione della classe operaia solamente quella per cui noi ci adoperiamo, ma la emancipazione intera e completa del genere umano: perché se le classi operaie devono emanciparsi dalla miseria, le classi privilegiate devono emanciparsi da miserie mille volte ben più gravi di quelle del proletariato, da profonde miserie morali».
Del resto anche Carducci, chiamato a testimoniare al processo di Costa, sostiene che «l’Europa sta per adagiarsi in una nuova forma di vita e quindi è facile che giovani di forte ingegno possano precipitarsi nella lotta», protestando contro le iniquità sociali e cercando di costruire un futuro di democrazia e di uguaglianza.
Pascoli non manca di impiegare il proprio talento letterario per la causa socialista: nel 1876, durante il processo ad Andrea Costa, pubblica un manifesto a sfondo politico su “Colore del Tempo”, firmato con lo pseudonimo di Gianni Schicchi, un celebre personaggio dell’Inferno dantesco.
Sul medesimo giornale, il poeta annuncia anche la pubblicazione di un romanzo certamente rivoluzionario, dal titolo I dinamisti, che non sarà mai realizzato; si tratta con forte probabilità del libro di cui parlerà anni dopo ai suoi studenti, in cui il protagonista «sarebbe riuscito a scavare un’enorme buca sino al centro della terra, e, folle d’odio, avrebbe caricato di dinamite quel centro per mandare la terra in frantumi nel cosmo!».
Tra le poesie di questo periodo c’è un sonetto a tema rivoluzionario, La morte del ricco, uscito sul “Martello” e sul “Nettuno” di Rimini, un giornale diretto dall’amico Francolini e a cui collabora anche il compagno di liceo Caio Renzetti.
Nonostante la presenza di diversi documenti, è difficile individuare il momento preciso in cui Pascoli inizia a impegnarsi in politica a Bologna, dando seguito all’interesse già manifestato durante gli anni del liceo a Rimini.
Sappiamo con certezza che il 16 luglio 1876 partecipa al Congresso della Federazione emiliano-romagnola dell’Internazionale presieduto da Costa, scarcerato pochi mesi prima. Quest’ultimo ha una grande influenza su Pascoli: Gian Battista Lolli ricorda che in questo periodo il poeta, «spronato dall’energia e dalla fede di Andrea Costa, ebbe momenti di molta attività».
Una nota del Questore di Bologna, datata 27 febbraio 1877, evidenzia che, in una riunione clandestina, «uno studente romagnolo ha parlato per la prima volta»; se lo studente fosse Pascoli, la sua attività politica più intensa potrebbe essersi svolta nel 1878 e 1879.
Eppure, la pubblicazione di testi su «Colore del tempo» e la partecipazione, già nel 1876, a congressi e adunanze, consente di ipotizzare un impegno politico sicuramente antecedente.
C’è inoltre un’importante testimonianza di Carlo Monticelli, in rapporto epistolare con Pascoli all’epoca dell’Internazionale, che fa comprendere come l’impegno del poeta vada ben oltre la pubblicazione di qualche testo. Stando a Monticelli, infatti, «Giovanni Pascoli fu segretario della Federazione bolognese della Internazionale dei lavoratori tra il 1876 e il 1877. Il Pascoli […] sostituì nel segretariato della Federazione bolognese il povero Alceste Faggioli, morto di tisi in seguito alle sofferenze della lunga prigionia. Da Giovanni Pascoli io ebbi, a quei tempi, nella mia Monselice, parecchie lettere, infiammate di passione politica».
Nell’aprile del 1877, l’attività dei socialisti bolognesi subisce una battuta d’arresto.
Scoppiati alcuni moti nella piccola borgata di San Lupo, in provincia di Benevento, e fermati in gran parte i componenti della banda insurrezionale capeggiata da Cafiero, anche a Bologna scattano numerosi arresti: Costa deve nascondersi di casa in casa, tra cui quella di Pascoli, in via Zamboni 53, ma dopo poco è costretto a fuggire all’estero. Pascoli è fra i pochi che lo aiutano a scappare, offrendogli tutto il denaro che possiede; subito dopo l’Associazione dell’Internazionale viene sciolta con decreto, ma i più giovani componenti, tra cui il poeta, si riorganizzano segretamente.
In questo periodo, uno dei capi più influenti e attivi dell’Internazionale è certamente Gian Battista Lolli, che, come accennato prima, è in stretta relazione con Pascoli: insieme a una lettera all’amico riminese Francolini, datata 14 marzo 1878, il poeta manda un foglietto su cui è scritto: «Gian Battista Lolli è mio amico e rispondo di lui. Zoca e manêra. Giovanni Pascoli». «Zoca e manêra», in dialetto, significa «ceppo e mannaia»: la parola d’ordine degli Internazionalisti romagnoli. Ancora una volta, quindi, i documenti dimostrano che Giovanni Pascoli ricopre un ruolo fondamentale nei circoli socialisti clandestini, a stretto contatto con i vertici del movimento: prima Andrea Costa, poi Gian Battista Lolli.
Del resto Pascoli, oltre ad essere un giovane colto ed abile nello scrivere, ha amicizie con molti degli esponenti più in vista del movimento rivoluzionario in altre città, tra cui soprattutto Rimini, e può quindi garantire i contatti tra gli internazionalisti bolognesi e romagnoli, testimoniati da diversi atti di archivio. A ulteriore conferma dell’impegno politico del poeta romagnolo, sappiamo che il Preside del Liceo Comunale di Bologna, Gaetano Atti, si lamenta con Carducci della latitanza di Pascoli come supplente il 15, 16, 18, 19, 20, 21 e 22 marzo del 1878.
Pochi mesi dopo, il 17 novembre 1878, il cuoco Passanante attenta al Re Umberto in visita a Napoli. Pascoli è spesso ricordato come autore di un’Ode a Passanante, contenente il famoso verso «col berretto d’un cuoco faremo una bandiera!». E se è vero che la sorella Mariù dichiara che la poesia non è opera di Pascoli, altri ne ricordano la lettura a una riunione di amici, tra cui Gian Battista Lolli, presente alla scena, che racconta: «la lacerò corrugando la fronte in atto mesto. I presenti protestarono acerbamente – Perché l’hai strappata? gli dissi. – Perché me lo chiedi? Tu l’hai capito il motivo, perché sei stato il solo che non abbia protestato».
Siamo ormai nel 1879, e l’impegno politico di Pascoli è ancora intensissimo. Vengono arrestati in massa gli Internazionalisti di Bologna, Imola, Cesena, Rimini, Modena, e, dopo lunghe carcerazioni, si tengono i processi, che si concludono con alcune condanne. Il 7 settembre, un gruppo di bolognesi segue i carrozzoni che riportano al carcere i detenuti, lanciando grida di protesta e di solidarietà: tra di loro c’è anche Pascoli, che viene arrestato, nonostante sostenga di non aver preso parte attivamente alla contestazione.
Inoltre, durante gli interrogatori, il poeta dichiara di «appartenere a quella parte di socialisti che desiderano il miglioramento della società senza pervertimento dell’ordine e di ammirare la generosità di chi si sacrifica per studiare il mezzo di raggiungere tale miglioramento».
Nonostante le sue dichiarazioni, Pascoli viene incarcerato con l’accusa di grida sovversive e oltraggio ai Carabinieri. Del resto, il nome del poeta è noto da tempo alle istituzioni e alle forze dell’ordine, come si può capire da numerosi documenti, tra cui una nota del 23 settembre 1879, proveniente dal consolato di Ginevra e trasmessa al Prefetto di Bologna: «Il R. Console in Ginevra avverte questo Ministero che un certo Pascoli arrestato in cotesta città è un amico intimo del noto agitatore socialista Andrea Costa, e teneva corrispondenza con molte Sezioni del detto partito».
I tre mesi e mezzo di prigionia lo segnano profondamente: l’unico conforto di quelle lunghe giornate sono i libri procuratigli dagli amici, in particolare Severino Ferrari, e la voce materna, che lo incoraggia a non arrendersi.
Esclusa la maggiore gravità del reato, la Corte d’Appello rinvia gli imputati davanti al Tribunale: la discussione del processo ha luogo il 22 dicembre 1879. Viene chiamato a testimoniare a suo favore anche Carducci e, alla fine, Pascoli viene rilasciato per mancanza di prove testimoniali.
Nonostante la durezza della prigionia, Pascoli non rinnega la propria fede socialista. Nel 1881 partecipa alle spese per le onoranze funebri di Faggioli e ne redige il manifesto; nel 1882 scrive un articolo su Carducci per il giornale triestino “L’Eco del popolo”, i cui redattori erano «giovani sudditi ribelli di S. M. l’Imperatore d’Austria». L’articolo non compare all’epoca e verrà pubblicato da colui che l’aveva chiesto al poeta, Giuseppe Picciola, solo trent’anni dopo.
È importante precisare che, pur simpatizzando nel 1882 coll’irredentismo, Pascoli non tradisce la propria matrice internazionalista. Alla notizia dell’impiccagione di Guglielmo Oberdan dopo il progettato attentato a Francesco Giuseppe, rimane sconvolto: «Mi son riavuto appena dal terribile dolore e dispetto che ho risentito alla morte del povero Oberdan, di questo figlio di nessuno che c’era piovuto dal cielo a mostrare miracolo di prodezza all’Italia vile!»
È ben chiaro il riferimento al proposito regicida di Oberdan; in Pascoli lo spirito di patria si fonde con le istanze dell’anarchismo, diffuse tra gli internazionalisti bolognesi.
Nel 1882, il poeta si laurea e diventa professore di liceo. Il suo primo incarico è a Matera; pur lontano da Bologna, il poeta continua a coltivare le proprie idee politiche: ad esempio, insieme al collega Antonio Restori, invia a Carducci una piccola somma per un monumento dedicato a Oberdan, offrendosi di contribuire anche in futuro, se necessario, alla memoria dell’«eroico fratello».
Il giovane Pascoli, inoltre, desidera infondere ed alimentare nei suoi allievi gli ideali di giustizia sociale e di progresso, facendo studiare loro non solo la storia antica, ma anche quella contemporanea: «Nessuno farà conoscere loro, se non mi ci metto io, un poco della storia per la quale sono e pensano: e allora, non conoscendola, diventerebbero dei camorristi come tanti altri, e non solo non sarebbero dei buoni latinisti, ma sarebbero pessimi cittadini».
Cosa ne sarà, negli anni successivi, dell’ardente passione politica del periodo giovanile? Pascoli non manca di chiarire la propria posizione in lettere e interviste, dichiarando di aderire unicamente al socialismo «veramente sincero», inteso addirittura in «senso etimologico».
Nel 1901, scrive a un amico: «Io non sono né socialista né antisocialista, perché sono libero e modesto predicatore d’una nuova dottrina. Spero d’essere sostanzialmente d’accordo: se non col da me odiato sempre, anche quando scontavo nelle patrie prigioni il mio ardente socialismo, credo Marxistico; col sentimento, almeno, che li anima, i socialisti veramente sinceri. Il fatto è che del socialismo io, pro virili parte, voglio fare, come praticamente faccio, una religione, la quale m’accorgo, nelle mie meditazioni, che è un fondamento molto più scientifico che il plus-valore dell’economista ebreo-tedesco».
E, durante un’intervista rilasciata a Ugo Ojetti, ribadisce: «Io sono socialista. Sono stato nel partito militante. Poi mi sono affievolito, da quel lato. E si intende. Sai ch’io sono un insegnante e per mangiare bisogna fare il proprio dovere. Veramente la parola socialismo, come la parola anarchia, ha preso dei significati così varii, a volta pusilli, a volta larghissimi: e non c’è da fidarcisi. Ma nel senso, diremo così, etimologico, io sono socialista. E in quello che scrivo, applico questo pensiero mio».
Dunque, è decisamente riduttivo ricondurre l’adesione al socialismo di Pascoli esclusivamente al dramma famigliare o a una crisi ribelle, come alcuni studiosi sostengono.
Negli anni in cui il poeta è immerso nell’ambiente internazionalista bolognese, gran parte della gioventù intellettuale emiliana aderisce ai nuovi movimenti sociali, compresi molti dei suoi più cari amici. Pascoli, come molti altri giovani, crede fermamente nel miglioramento della società e nella possibilità di costruire un futuro di uguaglianza tra gli uomini: perciò non arriverà mai, nemmeno in futuro, a rinnegare la sostanza ideale della sua fede giovanile.
Nota
I documenti consultati per l’articolo appartengono all’Archivio di Stato di Bologna.
Per saperne di più
Boschetti R. (a cura di), Il giovane Pascoli. Attraverso le ombre della giovinezza, Comune di San Mauro Pascoli 2007.
F. Cantoni, Rimembranze della vita, in “Il Resto del Carlino”, 7 aprile 1912.
G. M. Gori (a cura di), Pascoli socialista, Pàtron, Bologna 2003.
E. Graziosi, Pascoli edito e ignoto: “Colore del tempo”, in “Rivista Pascoliana”, 5, Bologna, Patron, 1993, pp. 93-119.
L. Lipparini, Andrea Costa rivoluzionario, Milano, Longanesi, 1977, p.81.
G. Nozzoli, Pascoli nella cucina di un sarto scrisse la poesia della ribellione, in “L’Unità”, 18 luglio 1954.
M. Pascoli, Lungo la vita di Giovanni Pascoli, Mondadori, Milano 1961.
G. L. Ruggio, Giovanni Pascoli. Tutto il racconto della vita tormentata di un grande poeta, Simonelli Editore, Milano 1998.
C. Salinari, Momenti della poetica e ideologia pascoliana, in “L’Archiginnasio. Studi per il centenario”, I, cit. p. 110.
R. Zangheri, Documenti del Socialismo giovanile di Giovanni Pascoli, in “L’Archiginnasio. Studi per il Centenario”, I, p. 87.