GLI EX NUMERARI DELL’OPUS DEI: APPUNTI PER UNA STORIA
di Pier Luigi Guiducci -
A Madrid, il 2 ottobre del 1928, muove un primo passo una nuova espressione ecclesiale. Un sacerdote, Josemaría Julián Mariano Escrivá de Balaguer y Albás (1902-1975), comincia a intravedere la possibilità di realizzare un disegno apostolico con proprie caratteristiche. Chiamerà tale progetto Società di cooperazione intellettuale, titolo poi modificato in Opus Dei.
Nella storia della Chiesa l’espressione ‘opus Dei’ si trova nella Regola di San Benedetto (XLIII, 3). Indicava all’inizio tutto il vissuto spirituale del monaco. In seguito il significato riguardò la vita di orazione. Questa, era centrata sulla lettura della Parola di Dio, sulla salmodia e sulla preghiera silenziosa. Nel 1928 il riferimento a ‘opus Dei’ riemerse in occasione dell’interazione di Escrivá con il proprio confessore. Si trattava del gesuita Valentín María Sánchez Ruiz.[1] Quest’ultimo utilizzò il termine per indicare in modo generico una tra le tante opere di Dio. Il fondatore, al contrario, lo scelse per identificare in assoluto la propria idea fondazionale. In tal modo da una ‘opus Dei’ si passò all’‘Opus Dei’.
Qualche coordinata storica
Josemaría nasce a Barbastro (Aragona). Vi trascorre l’infanzia e la fanciullezza. Dal 1915 al 1919 è a Logroño (periodo dell’adolescenza). Negli anni 1919-1927 studia nel seminario di Saragozza fino all’ordinazione sacerdotale. È poi attivo in più ambiti apostolici e nella progressiva fondazione dell’Opus Dei.[2]
Vicende storiche
Tra le idee-forti del suo orientamento pastorale rimane centrale un punto: promuovere la ricerca della santità e dell’apostolato attraverso il lavoro professionale e la vita ordinaria.[3] In tal senso – specie nell’interazione con figure laicali – segue una linea già individuata da più testimoni della fede: da Gregorio I (santo; pontefice dal 590 al 604) a Francesco di Sales (santo; 1567-1622), fino ad Alfonso Maria de Liguori (santo; 1696-1787) che scrisse anche sulla chiamata universale dei fedeli alla santità[4]. Nel 1930, Josemaría si rende conto dell’importanza di coinvolgere nel suo disegno apostolico anche le donne.[5] Durante la guerra civile spagnola (1936-1938) svolge il ministero sacerdotale a Madrid. Per non essere catturato (ed eliminato) dai membri del Fronte Popolare deve nascondersi in un luogo protetto da immunità diplomatica e in una struttura psichiatrica. Raggiunge poi Burgos, sede della Giunta di Difesa Nazionale (espressione dei franchisti). Nel periodo 1939-1945 don Josemaría è a Madrid ove segue lo sviluppo dell’Opus Dei. Nel 1943 promuove la Società Sacerdotale della Santa Croce. Nel 1946 raggiunge per la prima volta l’Italia. La sede centrale dell’Istituzione è posizionata da Madrid a Roma. Il 24 febbraio 1947 la Santa Sede concede all’Opus Dei il decreto di approvazione come “istituto secolare”. Il 16 giugno 1950 si arriva all’approvazione definitiva. Quando muore Escrivá (1975) l’Istituzione è ormai sostenuta da fedeli di più Paesi. Il 28 novembre del 1982 l’Opus Dei diventa Prelatura personale (Costituzione Apostolica Ut sit).[6] Mons. Escrivá Josemaría de Balaguer viene beatificato nel 1992. Canonizzato nel 2002.
I fedeli della Prelatura
I membri della Prelatura (uomini e donne) si suddividono in numerari, aggregati e soprannumerari.[7]
I numerari (sacerdoti e laici) vivono nel celibato apostolico e sono inseriti nelle attività della Istituzione. Abitano nei centri di quest’ultima e si occupano di più iniziative e della formazione degli altri membri dell’Opus Dei. La vita di un numerario ha tre momenti chiave: l’ammissione (probatio), l’oblazione (oblatio) e la fedeltà (fidelitas). Il candidato all’ammissione pita[8], per così dire, scrivendo una lettera al Prelato. Alla richiesta, a condizione che si abbia un’età di almeno diciassette anni, si risponde verbalmente. Continua così il percorso definito ‘piano inclinato’, mediante il quale ci si rafforza nel cammino vocazionale. Una seconda cerimonia conferma l’oblazione, cioè la determinazione del numerario di restare nella Prelatura (in pratica la sua prima vera incorporazione giuridica). Questo impegno va riconfermato ogni 19 marzo per cinque anni. Trascorso quel periodo, la terza cerimonia della fedeltà segna l’appartenenza definitiva del numerario all’Istituzione.
Il nucleo degli aggregati è costituito da coloro che vivono nell’Istituzione come celibi ma che, avendo assunto delle responsabilità determinate nei confronti della propria famiglia o per motivi di natura professionale, non fanno vita comunitaria nei Centri dell’Opus Dei. Anche un motivo di salute – secondo lo spirito della Prelatura – può renderli inidonei a condurre lo stile di vita dei membri numerari. Gli aggregati vivono quindi con i propri familiari o in abitazioni private.
Fanno parte dei soprannumerari quei fedeli, coniugati o no (in quest’ultimo caso senza l’impegno del celibato), che partecipano pienamente all’apostolato dell’Opus Dei. Adattano la loro disponibilità alle esigenze derivanti dagli impegni familiari, professionali e sociali.
Per quanto riguarda la scelta dei nomi ‘numerario’ e ‘soprannumerario’, si ricorda che don Escrivá utilizzò la classificazione usata nelle università spagnole per i professori, Il professore ‘numerario’ è il docente assegnato a una cattedra o a un dipartimento, è di grado amministrativo immediatamente inferiore a quello di professore. ‘Soprannumerario’ è un dipendente che lavora in un ufficio pubblico senza apparire nel modello organizzativo, ad esempio: l’insegnante in soprannumero.
I cooperatori dell’Opus Dei
Si chiamano cooperatori dell’Opus Dei le donne e gli uomini che, senza essere fedeli della Prelatura, costituiscono un’associazione propria e da essa inseparabile. Insieme ai fedeli dell’Opus collaborano mediante la preghiera, il lavoro e l’aiuto economico, alla realizzazione di attività educative, assistenziali, di promozione culturale e sociale, contribuendo al bene comune della società. Tra loro ci sono anche non cattolici, non cristiani o non credenti, che condividono gli obiettivi di promozione umana e sociale ai quali mirano le iniziative apostoliche, aperte a tutti, che promuovono i fedeli (laici e sacerdoti) della Prelatura insieme ad altri cittadini.
Pubblicazioni, siti web dell’Opus Dei e di altri organismi
Documenti, studi e informazioni sulle iniziative promosse sono forniti dall’Opus Dei in più modi. A questo lavoro si affianca quello di più editori: Ares[9], Mondadori, Giuffrè, Leonardo International, Piemme… Si tratta quindi di un ampio materiale che include le opere del fondatore[10], biografie (anche a fumetti[11]), racconti per ragazzi, testi di spiritualità[12], pubblicazioni sulle attività della Prelatura[13], lavori giuridici[14], testimonianze[15], indicazione di cammini di santità… Aggiungasi inoltre l’informazione che utilizza il web.
L’Opus Dei nell’attuale pubblicistica
In più decenni sono stati pubblicati molti libri e articoli che riguardano monsignor Escrivá de Balaguer e l’Opus Dei, oltre a interviste[16] e a filmati. In tali apporti le posizioni dei singoli autori esprimono sovente una difformità di pensiero. Una parte di loro sostiene la Prelatura.[17] Altri seguono una linea segnata da un minore favore verso l’Istituzione suddetta. Permangono inoltre posizioni dure. L’Opus Dei è accusata di essere una specie di ‘massoneria bianca’, un centro oscuro di potere terreno piuttosto che una fonte gioiosa di crescita spirituale.[18] Esistono poi coloro che non intervengono ufficialmente nel dibattito ma esprimono in privato riserve sulla Prelatura (ad es. in tema di integralismo, di segreto, di potere economico).
La situazione degli ex numerari
In un contesto così articolato, esistono pure delle pubblicazioni che riguardano la situazione degli ex numerari (uomini e donne). Si tratta di coloro che hanno scelto di lasciare la Prelatura. La loro esperienza è stata sofferta. In più casi sono emerse delle criticità. Davanti a tali realtà lo storico si pone dei quesiti. Tali vissuti devono rimanere nell’ombra (ed essere dimenticati)? O al contrario possono fornire dei suggerimenti, delle nuove idee per un rinnovamento interno dell’Opus Dei, anche alla luce delle indicazioni offerte dal Concilio Vaticano II? È convinzione diffusa che tante esperienze realizzate dagli ex numerari non debbano restare un qualcosa di lasciato alle spalle, cancellando memorie ‘difficili’. Piuttosto, per invertire una tendenza che non pare fruttuosa, può essere utile cercare di individuare delle proposte che possano in qualche modo aiutare i membri dell’Opera a vivere sempre meglio il proprio carisma.
La ricerca storica. Il fondatore dell’Opus Dei
Su monsignor Escrivá più autori hanno evidenziato in positivo: aspetti della vita spirituale, intuizioni, la capacità di iniziativa, di coinvolgimento di persone, di immediatezza nel linguaggio, di concretezza di proposta, di ideazione di progetti vasti e prolungati nel tempo. È stata posta in risalto anche la briosità.[19] Emerge quindi l’immagine di una persona vivace, dinamica. Altri studiosi hanno invece posto in luce aspetti ‘critici’ del carattere. Si è anche fatto riferimento a un possibile influsso di talune figure ecclesiali nel disegno originario dell’Opera.
Le contrapposizioni esistenti negli studi storici
A tutt’oggi le posizioni degli studiosi sulla figura di monsignot Escrivá divergono.
1. Diversi autori hanno evidenziato con entusiasmo aspetti della sua santità.
2. Altri hanno ritenuto al contrario di individuare ombre nello stesso processo di canonizzazione:
- testimoni non ascoltati (ad esempio Maria del Carmen Tapia, già segretaria personale di Escrivá[20], e il sacerdote don Vladimir Feltzman (22 anni nell’Opus Dei, poi uscito)[21];
- pareri non favorevoli messi da parte e non utilizzati (arcivescovo monsignor Luigi De Magistris[22] e monsignor Justo Fernández Alonso[23]);
- un chirurgo numerario presidente della commissione medica che accertò un miracolo di Escrivá: professor Raffaello Cortesini, poi uscito dall’Opus Dei[24];
- figure dell’Istituzione che hanno interagito con Giovanni Paolo II (già inserito in iniziative dell’Opus Dei da quando era arcivescovo di Cracovia[25]) in un modo particolarmente accentuato, seguendo strategie della Prelatura.
3. Ci sono stati studiosi che hanno preparato opere di oggettivo spessore sulla dottrina di monsignor Escrivá.
4. Non sono però mancati ricercatori che hanno scritto per dimostrare la non esistenza di alcuni titoli accademici attribuiti al prete spagnolo.[26]
5. Esistono più contributi di pensiero che sottolineano la positività di ogni azione di monsignor Escrivá de Balaguer.
6. A questi attestati si aggiungono anche scritti ove sono indicate dinamiche che sembrano evidenziare:
- alcuni passi del fondatore non chiari (sensibilità per titoli nobiliari, gradimento di interlocutori vestiti con giacca e cravatta[27]);
- un certo distacco da temi riguardanti la corporeità, la sessualità, l’interazione tra uomo e donna;
- una limitata attenzione al ruolo delle donne nell’Opera (numerarie ausiliarie et al.) e nella società;[28]
- evidenti posizioni ideologiche (anticomunismo);
- l’esistere di preferenze accentuate per ambienti economicamente dominanti, per sistemi di alleanza politica con poteri forti (es. in Sud America).
7. Esistono affermazioni entusiaste riguardanti il lavoro apostolico svolto dall’Opus Dei.
8. Non mancano però vari scritti ove sono evidenziati:
- l’esistere di testi storici (specie biografie) con omissioni di dati (celati al vasto pubblico) o con modifiche apportate a testi del fondatore;
- il permanere di silenzi su criticità interne;
- la promozione di iniziative volte a neutralizzare voci critiche sull’Opus Dei e l’attivazione di procedimenti legali con il fine di far cancellare da siti web (non favorevoli alla Prelatura) materiale storico informativo sull’Istituzione.
Le ricerche storiche su figure di santi
Oggi la persona di Escrivá de Balaguer è annoverata tra i santi. Per questo motivo c’è chi non vede la necessità di nuovi studi storici sul fondatore dell’Opus Dei. Qualcuno però intende rimodulare tale orientamento per un motivo: nella storia della Chiesa le figure di molti santi e sante continuano – infatti – ad essere approfondite per comprendere in modo più chiaro taluni aspetti del loro vissuto. In tale contesto più storici indicano temi da meglio focalizzare: 1. il contesto storico in cui visse Escrivá de Balaguer; 2. la dimensione umana del fondatore; 3. il modo di reagire davanti ai mutamenti del suo tempo.
Il contesto storico (guerra civile spagnola, il Franchismo)
Resterebbe parziale sul piano storico ripercorrere i passi iniziali del fondatore a prescindere dai fatti bellici che sconvolsero la Spagna nel periodo: luglio 1936 – aprile 1939. Certamente le vicende della guerra civile riversarono un influsso non debole sul vissuto e sul pensiero del giovane sacerdote. Il suo accentuato anticomunismo ha qui le radici. D’altra parte, anche l’interazione con il generale Francisco Franco (1892-1975)[29] è motivata da una convinzione: il Caudillo e il suo partito (la Falange Española Tradicionalista) sono ritenuti fattori capaci di arrestare e di respingere ogni movimento ideologico collegato alla Russia (considerata la centrale del male), e di sostenere la Chiesa e le sue opere. Dall’8 al 12 aprile 1946 Escrivá ebbe pure la possibilità di predicare esercizi spirituali al Caudillo e alla moglie (Maria del Carmen Polo y Martinez Valdés). Attualmente gli storici possono consultare più documenti: ad esempio la lettera di monsignor Escrivá a Franco dell’8 agosto 1949 (richiesta di aiuti economici), e una missiva del 23 maggio 1958 (condivisione della Ley de Principios del Movimiento Nacional che stabiliva i principi guida dell’ordinamento giuridico franchista). È poi da aggiungere che il sacerdote dell’Opus Dei che mantenne un rapporto ravvicinato con il Generalissimo fu don Álvaro del Portillo (allora Procuratore Generale della Società Sacerdotale della Santa Croce). Si confronti, ad esempio, la lettera del 5 luglio 1949 e quella del 14 luglio 1952 (con un pro memoria).[30]
Il contesto storico (Seconda guerra mondiale, la Shoah)
Dagli atti studiati, oltre a una fiducia nel Caudillo, sembrerebbe emergere nel fondatore una lettura non ostile verso l’operato tedesco. Secondo la testimonianza resa da don Feltzman (cit.) allo studioso tedesco Peter Hertel[31] monsignor Escrivá vedeva la Germania nazista come impegnata in una crociata contro il comunismo. Monsignor Escrivá gli disse una volta: “Io credo che se la gente pensa che Hitler abbia ucciso sei milioni di ebrei, certamente esagera. Hitler non era così malvagio. Potrebbe aver ucciso al massimo tre o quattro milioni di ebrei”.[32]
La dimensione umana del fondatore (personalità, carattere)
Negli atti del processo di canonizzazione di monsignor Escrivá de Balaguer sono stati presentati testi su virtù esercitate in modo eroico. Per questo motivo si rimanda ai volumi pubblicati.[33] Ex numerari (uomini e donne) rilevano, però, delle omissioni. E indicano l’esistere di limiti nel comportamento del fondatore: passionalità, momenti di tensione, perdita dell’auto controllo, scatti d’ira, alterazioni nel tono di voce, aggressività. Esistono testimonianze.
«(…) Egli ha quella che viene solitamente chiamata “rabbia violenta” nella quale monsignore perde la calma e comincia a gridare. Sembra che una delle cause di maggiore irritazione per lui sia la partenza dall’Istituto di qualcuno che ha reso una preziosa collaborazione o che, per la responsabilità della posizione che ha ricoperto, può danneggiare il lavoro con possibili indiscrezioni. Dice spesso quando è arrabbiato: “Per quelli che lasciano l’Opus Dei, non do dieci centesimi per la loro anima”. Per un’associata che era stata per un lungo periodo nell’Istituto con incarichi di una certa importanza e che poi se ne andò, (Escrivá) la chiamò a Roma e – come mi riferì lei stessa – la rimproverò duramente dicendo: “Sei in peccato mortale”. Dopo aver dedicato una lunga serie sacerdotale di espressioni offensive, disse: “La Maddalena era una peccatrice, ma tu sei una corruttrice!”. E la minacciava dicendo che “se qualcosa è trapelato da ciò che hai visto nel lavoro, io, José María Escrivá de Balaguer y Albás, pubblicherò un editoriale contro di te su tutti i giornali del mondo”.[34]
(…) Quanti hanno partecipato a una conversazione svoltasi nel centro di Tajamar[35] in occasione di una visita di Padre Escrivá de Balaguer nel 1970, hanno avuto l’opportunità di assistere a uno di questi attacchi di Monsignore mentre parlava in sala riunioni (…). Qualcuno gli chiese cosa pensasse dell’accusa che a volte veniva fatta all’Opera di intervenire in politica. Padre Escrivá, invece di rispondere tranquillamente a una domanda che senza dubbio chiedeva di negare ciò che (il fondatore) negava sempre, si infuriò e cominciò a gridare contro coloro che lanciavano tali calunnie contro l’Opus Dei. (…)
(…) In un’altra occasione era andato ad inaugurare un centro della sezione femminile dedicato alla scuola materna. Monsignore è un uomo molto esigente in termini di gusto nella decorazione e quando entra in una stanza e vede, per esempio, un’immagine distorta, il suo senso dell’ordine lo fa alzare dalla sedia e posizionare di persona il dipinto nel modo corretto. Quel giorno, la decorazione del luogo che aveva raggiunto per l’inaugurazione non gli doveva piacere e cominciò a manifestare un umore non buono. Non bastarono i tentativi per rassicurarlo, con la promessa che le sue figlie avrebbero introdotto le modifiche desiderate. Padre Escrivá stava diventando più nervoso, e arrivò un momento in cui si avvicinò a una porta e disse: “Questa modanatura è una schifezza”. E prendendone un’estremità, la tirò e la strappò via. Fece poi lo stesso con altre modanature della medesima porta e con quelle delle finestre più vicine. (…)
(…) In un’occasione, pochi anni fa, Padre Escrivá partecipò a un pasto con sei o otto personalità altamente rappresentative dei movimenti cattolici spagnoli. A un certo punto ci fu una discussione di scarsa importanza tra monsignore e uno dei commensali. Secondo un mio amico presente alla cena, la discussione doveva chiarire chi dei due avesse ragione su un certo punto. Ma il padre si stava scaldando e, quando fu dimostrato che aveva ragione nella disputa, guardò direttamente il suo avversario e (…) tirò fuori la lingua, lasciando i commensali stupiti e desolati».[36]
La dimensione umana del fondatore (De Magistris)
L’arcivescovo monsignor Luigi De Magistris (cit.)[37] ha poi riferito di una cena (a Roma) alla quale fu invitato. C’era anche monsignor Escrivá. Questi, durante la conversazione, si accalorò al punto da diventare aggressivo. I presenti ne rimasero colpiti. Il giorno successivo, monsignor Álvaro del Portillo dovette telefonare a quanti avevano partecipato alla cena (incluso De Magistris) per scusarsi e per giustificare in qualche modo l’accaduto. Con riferimento a tale episodio non è pure mancata la voce di chi ha sottolineato un punto. Nella lunga deposizione rilasciata nel processo di canonizzazione di monsignor Escrivá, monsignor del Portillo – sotto vincolo di giuramento – affermò che il fondatore dell’Opus Dei era sempre stato una persona calma. Non si era mai adirato. Non aveva mai alzato il tono della voce. Se si dovesse prestare attenzione a taluni commentatori, monsignor del Portillo avrebbe dichiarato un dato spurio, e quindi sarebbe da fermare una sua eventuale canonizzazione.
La dimensione umana del fondatore (chi usciva dall’Opus Dei)
Nel contesto succitato affiora anche un altro dato: la dura posizione di monsignor Escrivá verso coloro che si allontanavano dall’Opus Dei. Scriveva al riguardo il fondatore: «(…) Se uno dei miei figli abbandona la lotta, o lascia la guerra, o volta le spalle, facciamogli sapere che tradisce tutti noi: Gesù Cristo, la Chiesa, i suoi fratelli e le sue sorelle nell’Opera (…) sarebbe un tradimento consentire il più piccolo atto di infedeltà (…) in questi momenti».[38]
La dimensione umana del fondatore (Feltzmann)
C’è anche un’annotazione di Feltzmann (cit.). Per questo autore esistono “due Escrivá”: «Uno è l’Escrivá autentico, umano, così com’era realmente. L’altro è l’Escrivá la cui immagine viene pubblicizzata dall’Opus Dei. Un piccolo particolare. Quando, durante una riunione, Escrivá diceva qualcosa che non si voleva conservare, non era permesso prendere appunti. Infatti, ciò che in seguito veniva pubblicato non corrispondeva esattamente a quanto, in realtà, aveva detto. Il suo discorso veniva “adattato” in vista della pubblicazione. Quando usava un termine non troppo adatto ad essere pubblicato, non si doveva mai scriverlo; se usciva un manoscritto, questo era sempre leggermente adattato per i posteri».[39] Afferma inoltre Feltzmann: «Le biografie che comparvero quando morì non parlavano mai delle sue debolezze, dei suoi lati negativi; Escrivá, ad esempio, apriva spesso una porta con un calcio. Quando qualcosa non era perfetto, non era in ordine, era capace di arrabbiarsi terribilmente».[40]
Il modo di reagire davanti ai mutamenti del suo tempo
A queste testimonianze su monsignor Escrivá si possono aggiungere altri aspetti.
1. Per più storici, il fondatore dell’Opera ebbe fin dall’inizio la convinzione che era necessario difendersi nel modo più rigoroso possibile da molteplici ‘attacchi’: comunismo ateo, neo-positivismo, soggettivismo, correnti e prassi cattoliche eterodosse… In monsignor Escrivá – secondo l’opinione di vari commentatori – sembra di individuare un’ansia a ‘far quadrato’ davanti ai pericoli del mondo, a fronteggiare (nuova crociata) i responsabili dei processi di scristianizzazione, a ‘influire’ in quei luoghi ove si assumono direttive che riversano effetti sui vissuti sociali, familiari, politici. Esiste quindi una visione molto estesa, che guarda ai decenni, e che riprende – in taluni aspetti – delle intuizioni (e delle decisioni) già espresse da altre figure spagnole.
2. Per Escrivá, è il parere di più autori, occorreva inoltre agire in modo risoluto per migliorare le realtà interne alla stessa Chiesa: ignoranza religiosa, incerta testimonianza cristiana nella vita quotidiana, debolezza del mondo cattolico a inserirsi nelle istituzioni, nei centri decisionali pubblici e privati, limiti nella formazione dei presbiteri, comportamenti reprensibili di preti, scarso coordinamento dell’azione laicale.[41] Al riguardo scriveva il fondatore: «(…) Il male viene dall’interno della Chiesa e dai suoi vertici. Nella Chiesa c’è un’autentica putredine e a volte sembra che il corpo mistico di Cristo sia un cadavere in maleodorante decomposizione».[42]
3. Per raggiungere concretamente una serie non debole di obiettivi, il fondatore riteneva necessaria:
- una linea di accentuato rigore, di intransigenza (per garantire unità interna e per fronteggiare i ‘nemici’), di sacrificio (totale offerta oblativa, impegno senza riposo), di assoluta ubbidienza (sottomissione acritica, obbligo di non sollevare obiezioni), di assoluto rispetto di una morale rigida, di una spiritualità penitenziale capace di contemplare la Passio Christi, senza debolezze (con mortificazioni corporali che avvicinano ai patimenti di Gesù);
- un’opera di proselitismo capace di coinvolgere il più alto numero di fedeli, anche minorenni. In questo lavoro era anche necessario individuare soggetti che potevano supportare economicamente le realizzazioni dell’Opus Dei. Quest’ultimo è un aspetto che affiora in diversi studi. Escrivá esorta i più diretti collaboratori (del Portillo in primis) a raccogliere fondi, a coprire gli oneri legati a molteplici opere (inclusi i lavori a Villa Tevere, sede centrale dell’Istituzione). In tema di proselitismo rimane significativa una frase di monsignor Escrivá: «(…) vai fuori, nelle strade e nei vicoli; e spingi quelli che trovi a venire, a riempire la mia casa; costringili ad entrare; spingili, (…) dobbiamo essere un po’ matti (…) bisogna uccidersi per il proselitismo (…) questo è perfettamente compatibile col rispetto più delicato per la libertà delle anime (…) il solo esempio sarebbe di poco valore».[43]
Gli ex numerari. Quali fonti storiche?
Lo storico che cerca di studiare i diversi aspetti del cammino percorso dall’Opus Dei dal 1928 ad oggi può consultare testi che convergono su più punti. Tra questi, la presentazione di una vita interna dei numerari (uomini e donne) di tipo esemplare: fraternità, amicizia, concordia, sostegno reciproco, apertura a ogni interlocutore, crescita spirituale, allegria, libertà di movimento, di iniziativa. L’orientamento trasmette dei dati-chiave: la Prelatura, anche attraverso i numerari, costituisce una ‘proposta forte’, una ‘esperienza cristiana sicura’, una realtà in continua crescita nella serenità e nella gioia. Si tratta, però, di una posizione non condivisa dagli ex numerari. Quest’ultimi, hanno ritenuto utile non conservare nascosti i vissuti affrontati, ma hanno voluto raccontare a un vasto pubblico vicende segnate pure da criticità, da conflitti, da sofferenza, da decisioni contro corrente. Nelle loro lettere, trasmesse al Prelato del tempo[44], e nelle successive testimonianze orali e scritte, si ripetono fatti che – a parere degli ex numerari – rimangono dei nodi non sciolti. Nasce a questo punto un interrogativo: non si potrebbero ‘sistematizzare’ in qualche modo questi aspetti ‘difficili’, annotare delle proposte innovative, e offrire il tutto anche alla Prelatura come input per un possibile rinnovamento?
Fonti: Moncada e Pinotti
In tale contesto, sul piano storico, varie pubblicazioni hanno fornito al mondo ecclesiale più testimonianze di ex numerari.
Tra il 1974 e il 2005 sono divulgati vari saggi dell’ex numerario spagnolo Alberto Moncada (nato a Ceuta nel 1931), uno studioso divenuto giurista (a Madrid) e sociologo (a Londra). Si possono ricordare: El Opus Dei. Una interpretación (‘L’Opus Dei. Una interpretazione’; 1974);[45] Historia oral del Opus Dei (‘Storia orale dell’Opus Dei’; 1985);[46] Sectas católicas: el Opus Dei (‘Sette cattoliche: l’Opus Dei’; 1992);[47] La Cuarta Planta (‘Il quarto piano’; 2004);[48] Suicidios en el Opus Dei (‘Suicidi nell’Opus Dei’; 2005).[49]
In quest’ultimo lavoro si trovano delle indicazioni su realtà di sofferenza presenti tra i membri dell’Opus (frustrazioni, depressioni). Ci sono riferimenti a fatti dolorosi (suicidi o tentativi di suicidio). Moncada, dopo lungo periodo trascorso nell’Opera (conobbe il fondatore e partecipò a Piura, in Perù, alla fondazione della prima università dell’Opus Dei in America Latina), ha proseguito il suo impegno professionale insegnando sociologia in università europee e americane.
Nel 2006 l’editore Rizzoli presenta il libro del giornalista e saggista Ferruccio Pinotti (nato a Padova nel 1959).[50] Vi sono contenute sedici testimonianze (riguardanti periodi diversi), specie di ex numerarie.[51] Nel testo vengono indicati alcuni aspetti dei numerari: sveglia ogni mattina alle sei, doccia gelata, vita individuale gestita dai responsabili della comunità dell’Opus Dei, assenza di garanzia economica (l’eventuale stipendio devoluto interamente all’Opera, rendiconto meticoloso delle spese effettuate, assenza di ferie, mancati contributi pensionistici, nessuna liquidazione, testamento a favore della Prelatura), divieto di assistere a spettacoli o di guardare la tv o di leggere libri senza la preventiva autorizzazione, controllo della posta, frapposizione di ostacoli al mantenimento di rapporti con la famiglia d’origine.
Pinotti indica poi delle mortificazioni corporali: l’auto flagellazione ogni sabato, due ore di cilicio ogni giorno e, per le donne, dormire ogni notte su un tavolo di legno. La divisione sessuale è rigida. Il numerario, inoltre, deve coinvolgere il maggior numero possibile di nuovi aderenti. Anche il proselitismo, indicato come apostolato dell’amicizia, avviene attraverso una non autentica convivialità, con sorrisi di facciata, cominciando a individuare fedeli minorenni. La vita del numerario è ‘aggravata’ dalla ripetuta rivendicazione di laicità da parte dell’Opera.
È notevole il contrasto – secondo Pinotti – tra quanto viene affermato, specie prima dell’adesione (“Nell’Opus Dei si è liberi di fare ciò che si vuole, così come di andarsene quando si vuole”) e la realtà di uno stile di vita regolato come all’interno di un Ordine religioso. Un punto contestato riguarda l’obbligo interno di rapportarsi a un direttore spirituale non vincolato al segreto della confessione.[52] Le conseguenze (attestate da testimonianze) riguarderebbero fasi regressive nella persona del numerario (verso livelli infantili), la formazione di sensi di colpa, l’estendersi di casi di sofferenza mentale, e – quando il fedele lascia la Prelatura – la promozione di azioni mirate a isolarlo. Secondo Pinotti, la segretezza è di prassi, ricercata in modo accentuato. Nel volume, infine, è palese la critica al fondatore. È descritto in termini pesanti, accentuando l’autoritarismo, in taluni casi violento.
Fonti: Provera, E.B.E. ed Esquivias
Nel 2009 l’ex numeraria Emanuela Provera (nata a Milano nel 1968) presenta il suo libro Dentro l’Opus Dei.[53] La Provera, all’età di 17 anni conosce l’Opus Dei durante una vacanza studio a Manchester. Due anni dopo decide di farne parte come numeraria. Rimane nell’Istituzione per quattordici anni, dal 1986 al 2000. Nel 1993 le viene concessa la ‘fedeltà’: l’incorporazione definitiva nell’Opera. Vive in modo stabile in più sedi dell’Istituzione a Milano e Verona svolgendo anche incarichi di governo. Conclusi gli studi universitari, si laurea in Legge. Collaborato con la Fondazione Rui in attività di coaching e nell’organizzazione di eventi oltre che nella formazione di persone appartenenti all’Opus Dei. Nel 2000, dopo averne fatto richiesta, riceve la dispensa dal Prelato che la libera dal vincolo contratto con l’Istituzione. In seguito, ha tradotto dal latino in italiano gli statuti della Prelatura; ha interagito con alcuni ex membri dell’Opera; ha approfondito i tratti dell’Istituzione che possono avere ricadute etiche sulle persone e nella società civile.
Il suo libro deriva da un’esperienza di forum on-line. Vi hanno partecipato uomini e donne che hanno avuto un’esperienza nell’Opus Dei. Alcuni sono passati per la Prelatura per un periodo breve. Altri hanno vissuto all’interno dell’Istituzione dieci, venti o più anni. Il forum è stato un’esperienza di confronto. È nato prima di tutto con l’obiettivo di parlare tra ex numerari, perché l’esperienza di uscita dall’Opus Dei è – come afferma la Provera – di isolamento. Le persone che escono dall’Istituzione per lo più pensano di essere le uniche, per cui è difficile favorire una situazione di confronto, di dibattito e di discussione. Il secondo obiettivo è stato quello di divulgare le riflessioni e i contenuti del confronto tra ex numerari.
Nel 2012 un ex-numerario spagnolo, E.B.E., pubblica: El Opus Dei como revelación divina. Análisis de su teología y las consecuencias en su historia y en las personas (‘L’Opus Dei come rivelazione divina. Analisi della sua teologia e le conseguenze nella sua storia e nelle persone’).[54]
Secondo le intenzioni dell’autore, il testo è rivolto agli ex membri dell’Opera che hanno sofferto a causa della Prelatura e che cercano risposte al loro dolore. Altri interlocutori sono coloro che – senza aver fatto parte dell’Istituzione – hanno sofferto direttamente o indirettamente, attraverso legami familiari o qualche altro tipo di rapporto con l’Opus Dei. Unitamente a ciò, l’iniziativa editoriale tende a raggiungere coloro che desiderano conoscere i pensieri più profondi del fondatore dell’Opus sulla base delle fonti attualmente disponibili (limitate), e a fornire materiale agli studiosi.
Nel 2015 esce un nuovo scritto: El Opus Dei: el cielo en una jaula (‘L’Opus Dei: il cielo in una gabbia’).[55]
L’autore è un ex numerario (per quasi 30 anni): Antonio Esquivias (nato nel 1954)[56], già direttore di residenze universitarie dell’Opus in Spagna. Nel testo vengono annotate criticità. Tra queste: la censura sistematica; la ripetuta violazione dei diritti di coscienza che finisce per schiacciare umanità e capacità critiche dell’individuo; il problema del riconoscimento degli anni lavorativi nell’Opus ai fini pensionistici; le lacune di natura giuridica presenti nella Prelatura; la prassi interna di coprire ogni realtà con il vincolo del segreto.
Tra il 2016 e il 2018 sono stati pubblicati diversi altri testi non favorevoli all’Opus con nuove testimonianze di ex fedeli dell’Istituzione.
Fonti: O.D.A.N. (1991)
Nel 1991 è fondato Opus Dei Awareness Network per gli ex numerari americani, con testo pure in spagnolo.[57] L’organismo si trova a Pittsfield, nel Massachusetts (USA). L’O.D.A.N., tra i suoi compiti, si occupa anche di rispondere alle richieste di informazioni sull’Opus Dei. Fornisce inoltre istruzione, assistenza e sostegno a coloro che si ritengono danneggiati dal comportamento della Prelatura. Questo network mette in discussione molte prassi dell’Opus. Le ritiene discutibili per il modo con il quale influiscono sulla libertà personale, sulle scelte e sulla vita familiare di un individuo. Nel sito (http://www.odan.org/) si possono trovare più testimonianze.[58]
Fonti: Opuslibros.org. (2002)
Nel 2002 è organizzato il sito web opusdeilibros per gli ex numerari spagnoli. Attualmente l’indirizzo è: http://www.opuslibros.org/nuevaweb/. Coordinatrice: l’ex numeraria Agustina López de los Mozos Muñoz (Madrid).[59] A seguito di vicende non serene con la Prelatura gli ideatori del sito hanno mutato il nome e il dominio. Nell’attuale sito è possibile leggere circa 500 testimonianze critiche riguardanti l’Istituzione. Sono inoltre indicati (con foto e indicazioni biografiche) molti ex numerari (uomini e donne), oltre ad altri ex fedeli dell’Opus Dei (incluso un sacerdote). Si riporta qui di seguito qualche nominativo:
Maria del Carmen Tapia (cit.), autrice del libro Tras el umbral. Una vida en el Opus Dei (‘Oltre la soglia. Una vita nell’Opus Dei’), Baldini & Castoldi, Milano 1996.
Elena Longo (nata a Roma nel 1955, ex numeraria).[60] Autrice del saggio: Vita quotidiana di una numeraria nell’Opus Dei, in ‘Claretianum’, vol. XLVI, 2006, pp. 413-497.
Ana Ananza Elío (spagnola, nata nel 1967 a Pamplona, nella Navarra, ex numeraria). Questa docente ha raccontato la sua esperienza nel libro: Diecinueve años de mi vida caminando en una mentira: Opus Dei (‘Diciannove anni della mia vita camminando in una menzogna: Opus Dei’).[61]Attualmente insegna in un istituto pubblico nel sud della Spagna.
Enrique Pérez Amez (Spagna), primo sacerdote aggregato dell’Opus Dei di León (1965), cessa di appartenere alla Prelatura nel 1981, morto nel 2010.
Bruno Devos (Francia, ex numerario)[62], autore del libro La face cachée de l’Opus Dei. Documents secrets: les vérités qui dérangent (‘La faccia nascosta dell’Opus Dei. Documenti segreti: le verità sconvolgenti’), Les Presses de la Renaissance, Paris 2009.
Fonti: ICTOD (2006)
Nel giugno del 2006, ODAN, Opuslibros e Opuslivre danno vita all’ICTOD: International Collaboration for Truth about Opus Dei. Si tratta di una rete predisposta per fornire informazioni sull’Opus Dei e per sostenere i numerari che escono dalla Prelatura.
Fonti: altri siti con documenti
Per gli ex numerari brasiliani è promosso Opuslivre (Brasile).[63] Il sito è stato poi chiuso per mancanza di interesse da parte di chi lo aveva promosso. Studiando le comunicazioni inserite in tale spazio si individua anche la segnalazione del libro Opus Dei. Os bastidores Historia, análise, testemunhos (‘Dietro le quinte. Storia, analisi, testimoni’). Si tratta di un testo scritto da tre ex membri della Prelatura: Paulo Jean Lauand (professore ordinario di filosofia e storia dell’università di São Paulo), Marcio Fernandes da Silva (magistrato), Dario Fortes Ferreira (medico cardiologo).[64] È pure da ricordare il sito Opus Dei info (con testi tradotti in otto lingue)[65] realizzato dall’ex numerario francese Bruno Devos (cit.). Contiene documenti, testimonianze, analisi e informazioni sull’Opus Dei.
Si cita ancora un blog, quello dell’ex numeraria Ana Azanza Elío (cit.), professoressa di filosofia in Andalusia (Spagna): http://sinmiedoalopusdei.blogspot.it/. Ulteriore fonte che si può indicare è: http://dentrolopusdei.blogspot.it/. Nella colonna di destra del sito si trova un elenco di argomenti. Cliccando su un singolo tema è possibile studiare la documentazione di merito. Per stabilire un contatto personale con ex membri dell’Opus Dei si può scrivere a: dentrolopusdei@gmail.com.
Fonti: la dichiarazione consegnata alla Santa Sede (2005)
Il 24 ottobre del 2005 un gruppo di ex numerari indirizza a Benedetto XVI[66] una lettera. Il testo è consegnato ai responsabili di quattro dicasteri della Curia vaticana.[67] Nel documento si chiede l’apertura di un’inchiesta sulla Prelatura dell’Opus Dei a motivo del fatto che quest’ultima viola in modo sistematico le norme del diritto ecclesiastico e di quello civile. Ha le firme di oltre cinquanta ex membri dell’Opera provenienti da Spagna, Portogallo, Italia, Stati Uniti, Canada, Argentina, Messico, Costa Rica, Perù e Brasile.
Fonti: il testo trasmesso al Papa e a vari dicasteri della Curia (2011)
Nel 2011, durante il pontificato di Benedetto XVI, un gruppo di ex numerari (uomini e donne) decise di scrivere nuovamente alla Santa Sede per evidenziare una serie di criticità riguardanti l’Opus Dei, e per chiedere un intervento pontificio mirato a modificare le situazioni più eclatanti. Il documento[68] fu acquisito – tra gli altri – anche da monsignor Elías Yanes (1928-2018), arcivescovo emerito di Saragozza ed ex presidente della Conferenza Episcopale Spagnola. Questo alto prelato sostenne gli ex numerari e dette loro ragione in più questioni. Il testo, tradotto in italiano, è stato inserito in allegato al presente studio.
Iter storico. Riflessioni di merito
Un numerario o una numeraria che decide di uscire dalla Prelatura si trova ad affrontare un elevato numero di difficoltà perché è in genere privo di supporti. Deve: inserirsi in realtà che non conosce, costruire un percorso lavorativo (per recuperare una fonte di reddito), individuare nuovi interessi e contatti. I suoi riferimenti familiari e parentali possono essere venuti meno (o rimanere deboli). Resta poi nella memoria il ricordo di fatti sovente non gradevoli (specie la fase di allontanamento). In tale contesto, studiando le testimonianze di ex numerari (uomini e donne), pare di individuare due aspetti: una comunicazione critica, e un’altra più propositiva. Da una parte ci sono degli autori che avvertono la necessità di esternare la propria storia con un fine preciso: denunciare le criticità trovate nell’Opera, evidenziare le contraddizioni interne, esporre in dettaglio dei fatti ritenuti di particolare gravità. Si rafforza in queste posizioni l’esigenza di raccontare, di recuperare in qualche modo una libertà di parola bloccata in precedenza dal vincolo del segreto, dall’obbligo dell’ubbidienza e dalla totale sottomissione. Dall’altra, sembra di intravedere in altri ex numerari il desiderio e l’impegno: a proseguire un cammino nella Chiesa, a non vanificare un proprio vissuto (segnato comunque da esperienze), a ‘tradurre’ il tempo trascorso (anni) in un ‘patrimonio’ da utilizzare per favorire nella Chiesa (e di conseguenza nella stessa Opus Dei) dei nuovi cammini, all’insegna della trasparenza e della chiarezza.
Il primo aspetto. La comunicazione critica
Il tentativo di sistematizzare in un quadro complessivo di riferimento varie testimonianze di ex numerari (uomini e donne di più Paesi) non è semplice. Si possono comunque individuare delle macro-aree ove collocare i dati acquisiti nel tempo. Per chi segue tale orientamento alcune macro aree paiono assumere caratteri non deboli:
- prassi ritenute erronee;
- sistemi di condizionamento;
- effetti negativi sulla personalità del soggetto.
Ciò premesso, si può adesso rivolgere attenzione alla macro area: ‘prassi ritenute erronee’.
Prassi ritenute erronee
Ex numerari (uomini e donne) tendono a indicare con frequenza delle prassi interne all’Opus Dei valutate in termini fortemente negativi. Alcune sottolineature sembrano ripetersi in più occasioni.
1. Continua tensione a favorire un generale proselitismo.
Resoconto continuo al proprio direttore sulle persone che si cerca di far entrare nell’Opera, sulle difficoltà incontrate con i diversi interlocutori, sui risultati ottenuti, sulla condizione economica e sul livello culturale dei soggetti avvicinati.
2. Coinvolgimento di soggetti molto giovani.
Permanere di criticità nei modi di avvicinare (e di impegnare) persone molto giovani alle attività dell’Opera, e di inserirle poi nel lavoro interno con impegni formali. Gli ex numerari contestano i processi di allontanamento dalla famiglia, l’impoverimento delle relazioni con l’ambiente di origine. Unitamente a ciò viene ricordato che in più casi vari genitori si sono lamentati con le autorità ecclesiastiche. Al riguardo, nel 1981, l’allora arcivescovo di Westminster, cardinale Basil Hume (1923-1999), a seguito di indagine, volle scrivere delle Raccomandazioni per la futura attività dei membri dell’Opus Dei nella diocesi di Westminster. In particolare, invitò l’Opera a rivedere le attività di approccio e di inserimento dei giovanissimi nella Prelatura. Si riporta qui di seguito il passaggio principale.
«Le quattro raccomandazioni sono le seguenti:
- Nessuna persona di età inferiore a diciotto anni dovrebbe essere autorizzata a prendere voti o impegni a lungo termine in associazione con l’Opus Dei.
- È essenziale che i giovani che desiderano unirsi all’Opus Dei dovrebbero prima discutere la questione con i loro genitori o tutori legali. Se ci sono, eccezionalmente, buone ragioni per non avvicinarsi alle loro famiglie, queste ragioni dovrebbero, in ogni caso, essere discusse con il vescovo locale o con un suo delegato.
- Pur accettando il fatto che coloro che aderiscono all’Opus Dei assumano i doveri e le responsabilità proprie dell’adesione, occorre prestare attenzione al rispetto della libertà individuale; in primo luogo, la libertà dell’individuo di unirsi o di lasciare l’organizzazione senza che l’Opus eserciti una pressione indebita; in secondo luogo, la libertà dell’individuo in qualsiasi momento di scegliere il proprio direttore spirituale, indipendentemente dal fatto che il direttore sia o meno un membro dell’Opus Dei.
- L’iniziativa e le attività dell’Opus Dei, all’interno della diocesi di Westminster, dovrebbero condurre a una chiara indicazione della loro sponsorizzazione e gestione.
Sono fiducioso che questi quattro orientamenti non ostacoleranno in alcun modo l’Opus Dei nel lavoro apostolico a cui si è impegnata, ma l’aiuteranno ad adattarsi alla tradizionale spiritualità e alle tendenze del nostro popolo.
Naturalmente, resterò in stretto contatto con i sacerdoti e con i membri dell’Opus Dei all’interno della diocesi di Westminster».[69]
Prassi ritenute erronee. La testimonianza di Provera
Nel contesto delineato si colloca pure la testimonianza dell’ex numeraria Emanuela Provera:
«Le tecniche utilizzate dall’Opus Dei per fare apostolato, cioè per avvicinare altre persone all’Istituzione, inducono ad una sorta di destrutturazione, cioè di privazione dei punti di riferimento che l’individuo eredita dalla propria famiglia o ambiente sociale. Queste modalità, cosiddette di “formazione”, hanno successo soprattutto se rivolte ai giovani che, naturalmente, cercano appigli estranei alla famiglia in un sano tentativo di emancipazione da chi li ha cresciuti.
La prassi ascetica nell’Opus Dei prevede che con la direzione spirituale, cioè attraverso il “colloquio fraterno” e la “Confessione sacramentale”, il giovane consegni la propria intimità a due persone appartenenti all’Opus Dei. Il mondo interiore del ragazzo/a, fatto di progetti, pensieri, emozioni, desideri, stati d’animo, gioie e dolori, viene canalizzato e orientato dai “direttori dell’Opera” che, in altre parole, svolgono la funzione dei “superiori” come nei seminari per preti diocesani. Ma i direttori dell’Opera – tra l’altro – essendo laici, non hanno la sacra potestas per svolgere tali funzioni.
Il problema nasce quando i “direttori” non comprendono (o intenzionalmente non intendono capire) che alcune espressioni di quel delicato mondo interiore richiederebbero di essere trattate all’interno della famiglia, con la presenza dei genitori, o attraverso una sana vita sociale dalla quale, invece, i ragazzi vengono allontanati. In altri casi potrebbe risultare opportuno ricorrere alla consulenza di un medico, magari psicoterapeuta, invece di suggerire il rimedio della preghiera o della Confessione sacramentale.
In tal modo, i responsabili del lavoro formativo – appunto i direttori/direttrici – diventano colpevoli di “manipolazione mentale”, induzione alla disistima e all’isolamento. Qualche legale, consultato da ex membri dell’Istituzione, ha ipotizzato anche il reato di omissione di soccorso in considerazione del fatto che nell’Opera abbondano situazioni di disagio fisico e psicologico.
Talvolta sarebbe sufficiente lasciare le persone libere di dare una direzione alla propria vita, senza inculcare l’idea di una vocazione all’Opus Dei magari imponendo il sacerdote confessore, come invece avviene abitualmente nell’Istituzione».[70]
Prassi ritenute erronee (segue…)
3. Il restringimento (svalorizzazione, impoverimento) del pensiero critico.
Afferma al riguardo la Provera: «Escrivá diceva che “È una cattiva disposizione quella di ascoltare la parola di Dio con uno spirito critico” [Cammino n. 945], ma la parola di Dio – secondo lui – proveniva dai direttori/direttrici che, senza alcuna competenza professionale, pedagogica, medica, psicologica, elargiscono “consigli” come fossero ispirazioni provenienti dall’Alto.
In questo modo, cioè attraverso il ricatto affettivo (del tipo “se non ascolti con docilità il direttore/direttrice non fai la Volontà di Dio, sei disubbidiente, non ti santifichi”), si attua una vera e propria manipolazione volta ad annullare ogni germe di sano spirito critico nelle persone che si affidano ai direttori dell’Opera.
Con l’accusa della “disobbedienza” spirituale si scoraggiano i fedeli (giovani, adulti, donne e uomini) dal porsi in modo dialettico nei confronti dell’autorità perché “non è superbia ma fortezza far sentire il peso dell’autorità” [Escrivá, Forgia, n. 884].
D’altra parte l’Opus Dei è piuttosto abile ad ossessionare i giovani su questioni di sesso, provocando una vera fobia che degenera in forme evidenti e ridicole di nevrosi. Lo stesso dicasi per i temi del comunismo e del diavolo. In questo senso l’Istituzione dovrebbe fornire un supporto economico ai suoi ex aderenti che, in molti casi, devono ricorrere a cure psichiatriche o psicoterapeutiche per seguire una terapia di de-programmazione; con l’obiettivo di riappropriarsi dell’identità perduta e uscire da forme usuranti di alienazione.
Ritengo che non sia conciliabile l’appartenenza all’Opus Dei con un corretto modo di rapportarsi agli adolescenti, se non altro perché li si lascerebbe tranquillamente in balia di direttori/direttrici dell’Opera che – a loro volta privati della libertà individuale – esercitano coercizione psicologica sulle loro vittime». [71]
4. L’obbligo rigoroso del segreto su ogni aspetto della vita della Prelatura.
Parlare in ambienti esterni all’Opus Dei di realtà interne all’Istituzione è considerato un peccato grave. Tale orientamento dell’Istituzione è valutato da più autori come un fatto deleterio perché può provocare crisi di coscienza, e perché impedisce al numerario di informare la gerarchia ecclesiastica su criticità rilevanti all’interno della Prelatura.[72] Al riguardo, si sottolinea da più parti che l’orientamento del diritto canonico e quello del Magistero pontificio[73] spingono a garantire la trasparenza in ogni opera della Chiesa.[74] Quando tale linea non è rispettata si può correre il rischio di avvicinarsi in modo progressivo a delle situazioni-culmine. Si pensi, ad esempio, al caso (abusi sessuali) di monsignor Marcial Maciel Degollado (1920-2008), fondatore dei Legionari di Cristo, o alle vicende di altri consacrati riguardanti reati (pedofilia) non denunciati a livelli gerarchici superiori e alla pubblica autorità.
Prassi ritenute erronee (segue…)
5. Lavoro non retribuito.
Esiste su questo punto anche un articolo della Provera (cit.) che sintetizza i dati della questione. Scrive l’autrice:
«Donne e uomini che hanno lasciato l’Opus Dei denunciano di aver rilevato o subìto irregolarità retributive e/o contributive quando, facendone parte, svolgevano incarichi formativi o di governo per conto dell’Istituzione. Solo alcuni di loro erano assunti con regolare contratto di lavoro subordinato. Una testimonianza è stata raccolta in un precedente articolo pubblicato su:
http://www.cadoinpiedi.it/2011/03/05/lo_stipendio_spirituale.html,
ma diverse altre sono state raccolte riguardanti incarichi a studenti numerari come direttore, vicedirettore o segretario di una Residenza universitaria di una delle Fondazioni mediante la quale l’Istituzione opera sul territorio (per esempio RUI, ARCES, IPE, ELIS).
Ad uno di loro fu affidato l’incarico di segretario di una residenza della fondazione RUI, per cui redigeva bilanci, riscuoteva rette, organizzava eventi culturali, svolgeva attività di counseling e di tutoring per gli studenti del collegio. Pur essendogli richiesti impegno e professionalità, con prescrizioni per gli orari di lavoro e per le prestazioni lavorative (caratteristiche, queste, che contraddistinguono il rapporto di lavoro subordinato), non fu mai retribuito.
Nei racconti di questi ex appartenenti all’Istituzione è evidente l’uso strumentale della “vocazione” per ottenere un beneficio economico; l’equivoco veniva generato dalla scorretta sovrapposizione tra vocazione all’Opus Dei e lavoro professionale per conto dell’Opus Dei, tant’è che i direttori spirituali lo presentano al numerario/a come un’esigenza spirituale della chiamata di Dio caricando di valenza morale una prestazione lavorativa erogata gratuitamente. In questo modo l’Istituzione dispone di persone che lavorano senza esigere un corrispettivo, attraverso strutture civili che in molti casi ricevono finanziamenti pubblici.
Si sono così generate delle situazioni che appaiono lesive dei diritti fondamentali del lavoratore come quello che prevede una giusta retribuzione per le prestazioni erogate, un numero adeguato di ore di lavoro settimanale, la corretta tutela previdenziale per un futuro di sopravvivenza, il riposo attraverso periodi di sospensione dal lavoro ecc.
L’Opus Dei risponde alle denunce sostenendo che la prestazione erogata ha un carattere volontario, ma non è questo il punto rilevante.
A tal proposito ho intervistato un avvocato giuslavorista, per fornire una corretta chiave di lettura delle fattispecie concrete in cui i membri dell’Opus Dei dovessero trovarsi. Si evince che le motivazioni addotte dall’Istituzione a difesa della prassi fraudolenta con cui tratta i propri membri, appaiono discutibili sul piano giuridico perché l’Opus Dei, non essendo un ente religioso, non può considerare l’attività lavorativa dei propri membri un’opera di evangelizzazione regolata dal diritto canonico».[75]
Prassi ritenute erronee (segue…)
6. Espropriazione dei beni dei numerari.
Sul piano economico esistono, a parere dell’ex numerario Tommaso Dell’Era, dei punti critici. Tale testimone riconduce l’attenzione dei suoi interlocutori su talune affermazioni dei fedeli dell’Opera:
«(…) Bisogna però prenderli sul serio quando dicono che l’Opus Dei non possiede ricchezze o proprietà. E in effetti se uno va a vedere i loro centri, ad eccezione di pochi, sono intestati a fondazioni laiche o a persone singole, vicine all’Opera, che – dicono – promuovono le loro attività in maniera indipendente. In più, i membri numerari tutto ciò che guadagnano lo devono versare alle casse dell’Opus Dei. E poi dopo aver compiuto la ”Fedeltà”, che sancisce la definitiva appartenenza del numerario all’Istituzione, fanno anche testamento a favore dell’Opera o di istituzioni collegate. In questo modo l’Opus Dei acquisisce o direttamente o indirettamente, tramite queste fondazioni, beni di carattere immobile ed economico».[76]
7. Rigida applicazione di tutto ciò che è considerato ‘regola’.
In talune testimonianze di ex numerari viene dato rilievo alla prassi di attribuire un particolare valore all’applicazione immediata e acritica di norme interne e all’osservanza di consuetudini della Prelatura. Tale accentuata attenzione a tutto quanto costituisce una direttiva scritta o un uso consolidato nel tempo sembra, a parere di ex fedeli dell’Istituzione, quasi prevalere sulla novità che lo Spirito imprime a ogni cammino vocazionale.
8. Accentuato rilievo assegnato al formalismo.
Gli ex numerari disapprovano anche un’attenzione continua a un formalismo che si manifesta nel quotidiano in molteplici espressioni, e che soffoca di fatto ogni gesto spontaneo, ogni immediatezza di approccio all’altro. Spesso – questa è l’affermazione chiave – dietro una facciata formale (cortesia, gentilezza, sorrisi, premure) si celano altre intenzioni e progetti non rivelati.
L’ex numeraria Longo (cit.) sottolinea che: «Poiché (…) tutto viene regolato nella vita quotidiana dei membri dell’Opera, nei minuti dettagli (la levata al mattino, il modo di comportarsi nell’oratorio, la corrispondenza, il pranzo, la logistica delle case et al.), e poiché esistono “manuali” o raccolte di regole che spiegano esattamente come si deve agire, è facile concludere che si può arrivare sia al formalismo sia a un sentimento di oppressione: formalismo, perché tutto si trova regolato e inquadrato, e non c’è spazio per alcuna spontaneità; oppressione psicologica, totalizzante, perché in tutto ci si trova controllati». [77]
9. Il lusso riscontrato in più ambienti.
Non mancano poi ripetute sottolineature di ex numerari che ricordano una tendenza nell’Opus Dei ad acquisire immobili di particolare valore economico, il cui arredo di lusso pare contraddire i consigli evangelici. Un’ex numeraria, Ana Ananza Elío (cit.), ricorda ad esempio la ‘Goimendi’, una residenza universitaria spagnola[78], un’altra – la Provera (cit.) – fa riferimento a strutture bellissime, ville di lusso, aree verdi[79], l’ex numerario John Roche indica edifici sontuosi.[80] In tale contesto, è utile anche un cenno al grattacielo Murray Hill Place. Venne fatto costruire dall’Opus Dei nell’Upper East di New York, tra la 34a Avenue e la Lexington Avenue. Ha 17 piani. Dispone di 12.369 metri quadri. Sei piani sono dedicati alle attività dell’Opus Dei negli Stati Uniti.[81]
I sistemi di condizionamento
Nelle loro diverse testimonianze gli ex numerari ricordano anche una serie di condizionamenti modulati secondo le diverse situazioni. Si è già ricordato – sul piano generale – il restringimento del pensiero critico, e si è fatto anche un riferimento a delle tecniche inopportune di proselitismo. Andando più in dettaglio, i rilievi sembrano concentrarsi sui punti (tra loro strettamente collegati) qui di seguito indicati.
1. La continua manipolazione delle singole coscienze:
trasmissione ripetuta di messaggi che tendono a indebolire una volontà personale (quando questa non pare rispettosa delle direttive ricevute), lo spirito di iniziativa (quando il soggetto decide in modo autonomo, senza tener conto del ruolo dei direttori e dei sacerdoti), la capacità critica (quando la lettura del circostante è realizzata senza rispettare il modo di vedere della Prelatura).
2. Il ricorso a metodi che destrutturano la personalità di un soggetto:
oppressione psicologica, totalizzante, a motivo del fatto che esiste un controllo su ogni aspetto operativo. Gli ex numerari sottolineano che tale realtà può favorire:
- lo strutturarsi di forme di alienazione (il venir meno di una reale consapevolezza della realtà esterna all’Istituzione);
- una possibile genesi di forme di infantilismo (il numerario si difende dalle criticità chiudendosi in se stesso e affidandosi alle cure dei direttori e dei sacerdoti);
- il consolidarsi di un rapporto di dipendenza dai direttori e dai sacerdoti (incapacità ad essere veramente protagonista del proprio cammino vocazionale).
3. Un controllo della cultura e dell’informazione per favorire una vulnerabilità psicologica:
-indicazione obbligata di letture (con la necessaria approvazione per particolari testi o giornali),
-monitoraggio dei programmi televisivi (con la necessaria approvazione per poter seguire alcuni programmi),
-segnalazione di soggetti impegnati nel mondo della politica, della cultura e dell’arte da non seguire, da non sostenere.
4. Il verificarsi di situazioni di isolamento sociale e affettivo:
-la persona opera in ambienti ove di fatto le relazioni interne e quelle esterne subiscono dei processi di monitoraggio accentuati,
-i rapporti di amicizia (aspetto tattico) costituiscono occasioni strumentali per meglio raggiungere gli obiettivi dell’Opus Dei (aspetto strategico).
La manipolazione delle coscienze: provocare sensi di colpa
Gli ex numerari nei loro scritti fanno anche riferimento alla manipolazione delle coscienze all’interno dell’Opus Dei. Nella testimonianza dell’ex numeraria Amina Mazzali (Firenze) si trovano dei passaggi delicati. Riguardano i meccanismi di manipolazione psicologica posti in essere per spingere un’adolescente a compiere delle scelte di vita definitive nell’Istituzione. Ella ricorda quando criticò le pratiche di mortificazione corporale. E riferisce:
“Da quel momento in poi il mio rapporto con l’Opus Dei era basato tutto sul senso di colpa. Mi dissero: “Tu hai dato la vita a Dio una volta per sempre, ti sei impegnata, devi farlo”. Tutto era basato su quello. Dicevano: “Se ti tiri indietro non sei una persona corretta, volti le spalle a Dio”. Pian piano sviluppi un senso di colpa che ti costringe a fare anche ciò che non vorresti; perché non è del tuo giudizio che ti devi fidare ma della voce di Dio che ti viene attraverso i direttori”.[82]
Ecco un secondo passaggio:
“La chiave della sottomissione della volontà delle persone dell’Opera è questa: ti insegnano a dubitare di te stessa e della tua capacità di giudizio e a fidarti solo di quello che ti viene dai direttori e dall’Opera. Passo dopo passo ti dimostrano che non puoi essere una buona guida di te stesso. Devi seguire le indicazioni dei superiori che sanno meglio di te qual è il tuo bene perché hanno la famosa “grazia di stato”. Se non obbedisci e segui ciò che ti dice il tuo criterio di giudizio sei solo un superbo e un presuntuoso, non puoi che sbagliare strada. Il motto è “chi obbedisce non può mai sbagliare”. Devi rendere conto ai superiori di ogni momento della giornata, di ogni azione, di ogni iniziativa. Mensilmente devi sottoporre alla loro approvazione il “planning settimanale”, uno schema della settimana in cui giorno per giorno e ora per ora vanno inserite le attività abituali previste. Devi chiedere il permesso per ogni attività che sia appena un pochino più straordinaria.
Ricordo che all’inizio dovevamo chiedere il permesso anche per lavarci i capelli, non ho mai capito perché. Lentamente diventi dipendente dall’Opera e dai superiori, non ti senti più in grado di prendere decisioni autonome, qualora ne prendessi il senso di colpa affiorerebbe immediatamente. Ti dicono continuamente che la libertà è una delle nostre passioni dominanti, che facciamo le cose perché ne abbiamo voglia, ma appena esci un pochino dal tracciato le reprimende non si fanno attendere”.[83]
La manipolazione delle coscienze: il disprezzo per se stessi
Gli ex numerari (uomini e donne) fanno poi riferimento a tutta una serie di messaggi che tendono a svalorizzare l’entità persona. Tale orientamento è motivato dal fatto che l’orgoglio, la presunzione, la vanagloria, si possono neutralizzare anche con pratiche che devono indebolire in qualche modo l’essere creaturale. Al riguardo si ricordano alcuni passi del testo di Escrivá dal titolo Cammino: “Non dimenticare che sei (…) il bidone della spazzatura (…). Umiliati: non sai che sei il secchio dei rifiuti?”.[84] E più avanti: “Sei polvere sudicia e caduta …”.[85] “(…) Se la tua umiltà ti porta a sentirti così – spazzatura, un mucchio di spazzatura – potremo ancora fare qualcosa di grande di tutta la tua miseria”.[86]
La manipolazione delle coscienze: il ‘buono spirito’
Unitamente a quanto già riportato, esiste ancora un modo con il quale, secondo la testimonianza della Mazzali, si condiziona il comportamento di un soggetto in modo molto sottile. È il costante riferimento al ‘buono spirito’. Afferma l’ex numeraria: “Durante la formazione continua della coscienza, che nell’Opera non finisce mai, i direttori giorno dopo giorno, anno dopo anno, ti mettono di fronte un modello a cui adeguarsi, che viene chiamato ‘buono spirito’ o ‘buon criterio’. In pratica consiste nel modo perfetto di vivere nell’Opus Dei, che si evince dalle indicazioni del fondatore, dei suoi successori, dall’esempio di vita dei primi membri storici. Pian piano ti viene indicato tramite i mezzi di formazione e la pratica delle correzioni fraterne che comportamenti assumere situazione per situazione per fare in modo che ogni tuo gesto sia ‘di criterio’ e guidato dal ‘buono spirito’. Bisogna sempre chiedersi per esempio: che cosa farebbe nostro Padre in questa situazione? E agire di conseguenza. In questo modo dopo un po’ non sarà più necessario che i direttori continuino a ricondurti nei ranghi, perché sarai tu stesso ad autoregolarti, a chiuderti in certi margini, in fondo, a essere il carceriere di te stesso”.[87] Con questa dinamica viene prospettata, afferma l’A., una libertà fittizia, ed è costruita una prigionia più grave dell’impedimento fisico a muoversi. Si è in presenza di “un carcere mentale fatto di comportamenti obbligatori e sensi di colpa che ti perseguita continuamente e da cui anche i membri che trovano la forza di lasciare l’Opera tardano molto a liberarsi, a volte qualche anno, a volte decenni, talvolta, purtroppo, mai. Io ci ho messo cinque anni”.[88]
Alcune situazioni delicate
Nel contesto che si è tentato di delineare gli storici hanno cercato di sottrarsi all’area paludosa delle polemiche, a quella fuorviante delle recriminazioni, e a quella inutile del gossip (tenuto in piedi sovente con dati spuri), per orientare l’attenzione su dei punti che sembrano centrali. Quest’ultimi, hanno generato in più ambienti: dubbi, incertezze, perplessità.[89] Su tali aspetti la Prelatura ha in più occasioni fornito chiarimenti, continua inoltre a dare delucidazioni nei propri siti ufficiali e ufficiosi[90], nei documenti, negli interventi del Prelato e in quelli dei suoi collaboratori, nei convegni di studio[91], nelle pubblicazioni scientifiche.[92] Al riguardo, considerando che il dibattito su talune impostazioni dell’Opus Dei mantiene a tutt’oggi una certa vitalità, può essere utile indicare almeno alcuni interrogativi.
1. Quale laicità?
Un primo tema che emerge periodicamente negli scritti di ex numerari (uomini e donne) riguarda la laicità dei numerari. Al riguardo viene ricordato dagli autori un’affermazione-chiave della Prelatura: ogni numerario è un laico che si santifica nella vita ordinaria. È una persona libera in ogni decisione, capace di impostare il proprio orientamento secondo le realtà contingenti del momento storico. Tale affermazione, però, non è condivisa dagli ex numerari. Quest’ultimi, nei loro testi (cit. in precedenza e a fine testo), sostengono che in realtà ogni numerario è soggetto a numerosi vincoli che annullano di fatto ogni aspetto laicale.[93] Si riporta qui di seguito il pensiero del sociologo Alberto Moncada.
“Escrivá delineò per i numerari un sistema di vita ricalcato su quello dei religiosi: voto di povertà, castità e obbedienza; severe regole di controllo delle attività professionali da parte dei superiori, obbligo di vivere nelle residenze dell’Opera. La contraddizione di questo sistema di vita sta nel fatto che contemporaneamente, nella dottrina dell’Opera, si afferma che i numerari sono cittadini normali, che hanno una professione e la esercitano in piena libertà nel mondo; laici responsabili delle proprie opinioni e decisioni”.[94]
In definitiva, ex numerari ed ex numerarie sottolineano che la Prelatura esige da chi entra:
1. un’osservanza rigorosa della castità;
2. una vita segnata da una personale povertà;
3. e un’immediata e acritica ubbidienza a tutte le decisioni della Prelatura.
In particolare, si afferma, il numerario che accetta un impegno di castità per l’intero arco della propria vita opera un’opzione radicale. Si sposta – di fatto – verso un ruolo ben definito: quello di “consacrato”. La sua castità, infatti, non è fine a se stessa ma è applicazione di un consiglio evangelico. È orientata dunque “per il Regno” (in piena sintonia con ogni voto religioso).
Viene sottolineato inoltre che la scelta di una povertà personale non consente al numerario di promuovere in modo immediato delle attività sorrette da una reale autonomia. In pratica, in qualsiasi iniziativa che implichi dei costi, egli “dipende” dalla gestione economica di altri. Ogni sua scelta (ruoli professionali e decisioni di merito, spostamenti, assunzione di responsabilità a più livelli) deve sempre essere discussa con direttori e sacerdoti, e comunque deve ottenere un consenso della Prelatura.
In ultimo, l’ubbidienza ai direttori e ai sacerdoti configura di fatto un rapporto gerarchico inserito in un preciso assetto istituzionale. Scrive in merito san Josemaría: “Obbedire … cammino sicuro. Obbedire ciecamente al superiore … cammino di santità. Obbedire nel tuo apostolato …, l’unico cammino: perché, in un’opera di Dio, lo spirito deve essere obbedire o andarsene” (Cammino, 941).[95]
Ne deriva che il numerario – per esigenze interne alla Prelatura – può essere assegnato a nuovi compiti, anche a prescindere dalla sua cultura professionale.[96] Può essere spostato da una sede a un’altra, da una città a un’altra, da un Paese a un altro (come avviene negli Istituti religiosi). Deve accettare le scelte dei direttori e dei sacerdoti anche con riferimento ai propri studi universitari.[97] Ha l’obbligo di applicare senza esitazioni le decisioni dei direttori, dei sacerdoti, degli organi apicali dell’Opera. In un contesto così delineato, affermano gli ex numerari e le ex numerarie non è possibile parlare di una libertà personale laicale.
2. Quale teologia del corpo?
Un secondo aspetto evidenziato dagli ex numerari (uomini e donne) riguarda le mortificazioni corporali.[98] Su tale argomento affermava monsignor Escrivá: “Se sai che il tuo corpo è tuo nemico, e nemico della gloria di Dio, poiché lo è della tua santificazione, per quale motivo lo tratti con tanta blandizie?”.[99] Al riguardo, è stato scritto da ex numerari che le penitenze fisiche praticate all’interno dell’Opus Dei negano al singolo corpo il rispetto che merita. Occorre dominare con “l’io superiore” la propria zona d’ombra. Quest’ultima deve essere respinta, compressa, rifiutata. Mortificare il corpo significa provare sete, fame, sonno, stanchezza, malattia, dolore fisico e scomodità, senza cercare immediatamente un sollievo. La mortificazione include anche l’uso del cilicio (applicato in genere a una coscia), della disciplina (auto-flagellazione), la decisione di dormire su un’asse di legno invece che sul materasso, il dover fare docce fredde…
In tale contesto, sono diverse le voci che tentano in qualche modo di far modificare l’orientamento descritto. Al riguardo si ragiona seguendo alcune idee-chiave:
a) nella storia della Chiesa le mortificazioni corporali sono state ideate per più motivi: per un ‘disprezzo’ del corpo inteso come gabbia dell’anima (il fisico viene ‘punito’ perché considerato un ostacolo a un’elevazione dello spirito); per un ‘controllo’ di pulsioni ritenute impedimento alla santificazione personale; e – infine – per partecipare in qualche modo alla Passio Christi (dolore, sangue, umiliazione);
b) nel corso del tempo, però, ci si è resi conto che le realtà corporali sono un dono di Dio, espressione della Creazione divina, partecipano a un Disegno di Salvezza, e sono state anch’esse redente da Cristo Salvatore (è tutta la persona ad essere stata salvata);[100]
c) mortificare, inoltre, le realtà corporali significa perdere di vista la lezione della Risurrezione di Gesù al Cielo in anima e corpo, e della stessa Assunzione di Maria in anima e corpo, oltre a dimenticare l’insegnamento cattolico sulla risurrezione dei corpi alla fine dei tempi.[101]
3. Quale partecipazione alla vita della Chiesa?
Un ulteriore punto che emerge nelle testimonianze degli ex numerari (uomini e donne) riguarda il tema della partecipazione alla vita della Chiesa. Secondo l’esperienza di quest’ultimi il numerario non è libero di partecipare come vuole ai diversi momenti del cammino di una Chiesa locale (un fatto ulteriormente aggravato dalle restrizioni sull’uso dei media), ma si muove solo in base alle direttive ricevute dall’Opus Dei. Quest’ultime, seguono in modo prioritario gli interessi dell’Istituzione. Esistono quindi delle consultazioni, dei filtri, dei passaggi monitorati, delle strategie da rispettare (stabilite da livelli superiori).
In termini più semplici si afferma che chi entra nell’Opera perde gradualmente di vista una visione complessiva del procedere ecclesiale, non interagisce (se non stabilito dai vertici) con altre espressioni cattoliche, non partecipa a momenti assembleari in organismi diocesani, inter-diocesani, regionali, nazionali.
Il numerario agisce ufficialmente come singolo, a titolo personale, non interviene in quanto membro dell’Opus Dei, non rende manifesta la sua appartenenza all’Opera.[102]
Tutto ciò ha generato, secondo gli ex numerari, delle ambiguità, delle anomalie. Anche vari Ordinari hanno auspicato la presenza di fedeli dell’Istituzione in organismi diocesani senza nascondere il fatto di essere dei numerari.[103]
In tale contesto, gli ex numerari ricordano che negli interventi ufficiali di membri della Prelatura non sembrano esistere problemi alla partecipazione di numerari alla vita delle Chiese locali. E non mancano i riferimenti formali a buone intese con gli Ordinari. Però, a giudizio di ex numerari, tale orientamento rimane solo un’espressione di facciata. Se l’Istituzione partecipa alla vita ecclesiale diocesana è per uno scopo specifico, per lo più apostolico, valutato e soppesato dall’Istituzione e, in questo caso, al membro numerario prescelto vengono impartite indicazioni su come comportarsi e sostanzialmente su cosa dire (nei rari casi in cui si rendesse necessario manifestare la propria appartenenza all’Istituzione). Nella realtà il numerario non può interagire con organismi diocesani, con altre realtà ecclesiali, e con cattolici impegnati in progetti promossi dalla Chiesa locale senza l’autorizzazione dei direttori. Sono questi che, di volta in volta, devono decidere l’opportunità o la non rilevanza dei passi da intraprendere, e devono valutare se la singola iniziativa reca o meno un beneficio all’Opera.
A questo modus operandi i numerari sono formati già nella fase precedente la loro incorporazione temporanea nell’Istituzione (Oblazione), perché in tale periodo i direttori responsabili della formazione insistono sul tipo di vincolo che unisce i numerari all’Opera (e quindi, secondo loro, alla Chiesa): si tratta di un legame caratterizzato non dal domicilio, dall’appartenenza geografica (come per le giurisdizioni territoriali ecclesiastiche: diocesi), ma da una convenzione.[104]
4. Quale trasparenza?
Nel contesto delineato, gli ex numerari e le ex numerarie insistono anche sul fatto che non esiste nella Prelatura una reale trasparenza. Essi ricordano, al riguardo, il principio del segreto assoluto sulle realtà interne ma anche sulle iniziative che si realizzano in ambienti esterni ai centri dell’Istituzione, sui contatti intercorsi, sulle conoscenze e amicizie realizzate, sulle fonti finanziarie e sulla loro gestione. Qui si struttura, a detta di ex numerari ed ex numerarie, una realtà equivoca:
- da una parte il numerario è presentato ufficialmente come un fedele che opera nel modo più trasparente possibile nella società, nel mondo economico, politico, ecclesiale,
- dall’altra egli rimane comunque vincolato all’obbligo di non rendere noto il proprio ruolo nell’Opus, e di rispondere ogni settimana ai direttori e ai sacerdoti della Prelatura sulle realtà che affronta in ambito temporale.
Gli ex numerari ricordano pure il fatto che le stesse normative che regolano la vita dell’Opus sono poco conosciute a motivo di una tendenza a parlarne in termini minimi. Su questo argomento l’ex numeraria Agustina López de los Mozos Muñoz afferma:
“A suo tempo ha costituito una pietra miliare importante la pubblicazione delle Costituzioni del 1950, le quali stabilivano riguardo a se stesse che “non dovevano essere divulgate” ed essendo scritte in lingua latina “non devono neanche essere tradotte nelle lingue volgari” (cf Constituciones, art. 193). Dopo l’erezione a Prelatura Personale, i nuovi Statuti del 1982 furono pubblicati su media vicini all’Opus Dei, ma sempre in latino, e furono media estranei all’Opus Dei quelli che li fecero conoscere tradotti in spagnolo o in altre lingue. Costituendo gli Statuti il diritto particolare dell’Opus Dei, la loro divulgazione si realizza attraverso istruzioni e normative che, in forma di regolamenti, indicano le forme e i criteri di attuazione in base ai quali devono agire i direttori dell’Istituzione. Si tratta dei cosiddetti documenti e scritti interni dell’Opus Dei”.[105]
5. Quale letizia fraterna?
Da testimonianze di ex numerari e di ex numerarie si ricava pure un altro aspetto: l’assenza di un reale clima di letizia fraterna tra i numerari. Tale dato potrebbe in un primo momento sembrare di debole importanza rispetto ad altre situazioni. Però, dai documenti che si possono consultare, sembra di individuare un punto. A parere di chi è uscito dall’Opus Dei esistono molteplici realtà interne che vanificano i ‘momenti di festa’ istituzionali (es. anniversari collegati alla vita di monsignor Escrivá) e quelli meno ufficiali (es. onomastici di numerari). In pratica, i continui riferimenti al silenzio, alle mortificazioni corporali, al mantenimento di comportamenti ‘sotto tono’, al rispetto acritico di regole e di consuetudini, alla ‘correzione fraterna’, all’obbligo del sorriso in presenza di persone da accogliere, depauperano taluni ambienti e determinati rapporti di una vera e continua letizia evangelica. Tutto deve essere ricondotto a piani operativi, a scadenze da rispettare, a doveri (rimarcati in modo incessante), a un percorso penitenziale, ad azioni di tipo oblativo, a sottomissioni da vivere come passi concreti verso la santità. Anche le luci, in talune occasioni (es. meditazioni in cappella) devono essere oscurate. Nella spiegazione ufficiale ciò serve al raccoglimento. Secondo ex numerari (uomini e donne), la quasi oscurità costituisce invece un modo per accentuare l’isolamento, per mantenere un clima di separazione dall’altro, come avviene abitualmente nelle comunità monastiche che seguono una Regola rigida.[106] A parere di chi è uscito dall’Istituzione tutto questo non aiuta a vivere da risorti ma da succubi di schemi ideati a livello umano.[107]
Secondo l’ex numerario Klaus Steigleder i numerari hanno l’obbligo di mostrarsi allegri: “La gioia è una delle norme di sempre, è un dovere. Bisogna mostrare di fronte a tutti che nell’Opus Dei si è lieti e felici. I membri se lo sentono ripetere di continuo e vengono esortati a farlo. Sorridere! Secondo me nell’Opus Dei si sorride molto, ma raramente si ride di cuore. Spesso dei non membri dell’Opera mi hanno raccontato come il volto di un loro amico dell’Opus cambiasse, quando questi sapeva di non essere osservato. Il sorriso scompariva e il volto assumeva un’espressione triste e tesa”.[108]
6. Quale dialogo?
A parere di ex numerari la posizione dell’Opus Dei non attribuisce poi una particolare importanza al dialogo con altre fedi religiose. Si ricorda al riguardo un’affermazione del Fondatore: “Il piano di santità che il Signore ci chiede è determinato da questi tre punti: la santa intransigenza, la santa coercizione e la santa impudenza” (Cammino, n. 378). E ancora: “l’indulgenza è segno sicuro di non possedere verità” (Cammino, n. 393). In tale contesto, alcuni ex numerari rilevano una discrepanza tra atti ufficiali e prassi quotidiane. Mentre da una parte, infatti, non mancano dichiarazioni ufficiali di apertura a persone di confessioni diverse da quella cattolica, e a non credenti, dall’altra l’orientamento seguito non sembra andare oltre una linea di buona relazionalità.[109]
Dalle storie alla Storia. Qualche idea
L’interazione tra ex numerari/ex numerarie e la Prelatura dell’Opus Dei rimane in genere un fatto critico, senza ritorni. Chi lascia l’Istituzione non ha intenzione di mantenere aperti dei collegamenti (‘taglia i ponti’), accusa in più casi l’Opus Dei di aver ostacolato l’uscita (accentuando i sensi di colpa), di non aver fornito un adeguato sostegno al reinserimento sociale, conserva delle memorie fortemente negative (che tenta di cancellare), rivede criticamente il proprio cammino nella Chiesa (riesaminando anche aspetti del mondo ecclesiastico poco chiari), e arriva in più casi a divulgare dei fatti che riconducono a sofferenze personali (anche fisiche), a costrizioni subìte e a relazionalità di natura conflittuale. Accanto a questa situazione, caratterizzata dall’intenzione di rivelare il “vero volto” (negativo) dell’Opus Dei, esistono pure delle “voci” di ex numerari e di ex numerarie che additano (in modo diretto o indiretto) delle evidenze sulle quali è possibile ‘aprire’ un confronto, una riflessione, per arrivare a processi evolutivi, di rinnovamento. Si tratta di impressioni accennate, opinioni, indicazioni, idee, ricordi, che abbozzano dei percorsi. Davanti a queste ‘voci’ lo storico si interroga: da tale ‘fermento’, da certi suggerimenti, è possibile ‘costruire’ un percorso che aiuti i membri dell’Opus Dei a vivere in pienezza il proprio carisma?
Una normalità di vita
Nel contesto delineato pare di comprendere che gli ex numerari (uomini e donne) esprimano delle specifiche sollecitazioni.
a) È necessario imparare ad avere fiducia nella capacità dell’essere umano di aderire liberamente a Dio che salva, che rende nuove tutte le cose, senza imporre con durezza cammini di santificazione basati su un numero elevato di ‘regole’ scritte o trasmesse a voce.
b) Occorre scoprire spontaneamente (senza rigide ‘programmazioni’ interne seguite da continue ‘verifiche’) le molte occasioni della vita per parlare di Dio attraverso le persone che sono vicine, con gli amici, talvolta con soggetti che non si conoscono.
c) Rimane sufficiente una vita ‘normale’, inserita nelle realtà temporali, per trovare le occasioni offertoriali, oblative, ove fare dei ‘sacrifici’. Quindi non è necessario:
- ‘punire’ il corpo (creato a immagine di Dio e tempio dello Spirito Santo),
- creare danni al fisico e alla psiche,
- ‘condizionare’ la stessa deambulazione con sofferenze corporali, attraverso strumenti che rischiano di produrre effetti negativi, specie sulla personalità di persone giovani.
d) Bisogna ritrovare Gesù storico, che nelle pagine evangeliche:
- guarda allo spirito, non alla lettera,
- non condanna ma perdona,
- non chiude, ma apre ad una libertà interiore: profonda e impegnativa al tempo stesso.
e) Rimane importante il non insistere su un continuo e angoscioso ricorso al sacramento della Riconciliazione (alimentando così scrupoli, incertezze, dipendenze), cercando di non insistere unicamente su concetti quali ‘peccato grave’, ‘peccato mortale’, ‘colpa’, ‘punizione’, ‘dannazione’, ‘Inferno’, ma ampliando la meditazione sull’azione vivificante della Grazia, sulla vita nuova in Cristo, sulla Misericordia divina, sull’Amore infinito di Dio, sull’intimità divina, sulla letizia cristiana.
f) È necessario il piano inserimento anche nella vitalità della Chiesa locale, nel cammino della diocesi ove si opera, con tutti i problemi e le povertà umane che questa esprime. Per questo motivo i numerari e le numerarie non si devono ‘chiudere’ nelle sedi dell’Opus Dei e nei centri a questa afferenti ma devono andare in mezzo alla gente, stare accanto a Gesù che entra nelle case, partecipa a feste di matrimonio, risana, difende, sta con i piccoli.
I processi formativi
Alcuni ex-numerari (uomini e donne) hanno anche scritto che ogni processo formativo non può rimanere ristretto a un ‘travaso’ di prescrizioni ascetiche, dottrinali, apostoliche, da riversare in modo ripetitivo nella mente e nel cuore di persone, come se queste fossero incapaci di elaborare un’interazione con Dio, un rapporto religioso. In particolare:
- creatività, ingegno, intelligenza devono avere la possibilità di esprimersi in pienezza;
- di conseguenza nessuno deve sparire nel ‘pensiero unico’ propinato come ‘spirito dell’Opera’, santo, perenne e voluto da Dio.
Al riguardo, un’ex numeraria, Mariagrazia Zecchinelli annota quanto segue:
“ (…) io ho iniziato a fare troppe domande a quella numeraria.[110] Volevo capire. Avevo avvertito che c’era qualcosa di strano, nel suo modo di essermi amica e di essere amica di tante altre persone allo stesso modo. Facevo troppe domande. Ai loro occhi ho iniziato a trasformarmi: da persona che poteva andare bene per certe caratteristiche a persona non più appetibile o addirittura potenzialmente pericolosa. Inizialmente hanno iniziato a considerarmi[111] meno interessante; poi dannosa, nel momento in cui ho iniziato a parlare dei miei dubbi e delle mie perplessità con diverse persone dell’Opera. Io incontravo delle persone e cercavo di comunicare con loro in termini onesti e reali. Non avevo il senso della segretezza, dell’obbedienza, dell’appartenenza, della mancanza di senso critico, che invece dominavano lì, nell’Opus Dei”.[112]
Controlli interni. Chiarimento dei ruoli. Segreto
A parere di ex numerari (uomini e donne) è necessario modificare più prassi interne per impostare in modo nuovo, ricco di Grazia e di umanità, un sistema complesso di relazioni.
Occorre rivedere:
- alcuni modi che di fatto costituiscono un sistema di controllo interno (confidenza o ‘colloquio fraterno’ con i direttori dell’Opera);
- le ‘manifestazioni di coscienza’;
- talune azioni di controllo (anche sull’uso dei media) che attestano di fatto una limitata fiducia nelle capacità dei numerari e delle numerarie.
Si rende necessaria una chiara separazione tra direzione spirituale personale e azione di governo, evitando situazioni ambigue e irregolari.
Bisogna garantire una vera trasparenza; rendere note nel mondo ecclesiale e in quello civile tutte le norme che riguardano l’Istituzione, anche le prescrizioni interne segrete.
È importante riconsiderare la prassi di assegnare a un numerario o a una numeraria (o a persone comunque vicine all’Opus Dei) il ruolo di ‘padre spirituale’ o di ‘madre spirituale’ di quanti si avvicinano a centri della Prelatura.
Normative. Revisione
In un messaggio on-line (18 gennaio 2015) un’ex numeraria ha scritto: “(…) Le proposte maturate dagli ex numerari nel corso degli anni, mano a mano che si prendeva coscienza degli abusi sistematici ma anche della violazione di norme ecclesiastiche e civili, riguardano innanzitutto la revisione degli Statuti, ossia delle Costituzioni approvate nel 1982 da Giovanni Paolo II (…)”.[113] È questa una posizione alla quale si aggiungono altre considerazioni. Un’altra ex numeraria, ad esempio, evidenzia una criticità nel rapporto tra Statuti e norme interne. Scrive in proposito: “(…) Non rispettando una cornice giuridica stabile, le “norme interne” della Prelatura, mai approvate dalla Santa Sede, esigono anche dai membri molti obblighi non contemplati dagli Statuti, che vanno ampliando – “a capriccio” dei direttori – il contenuto sostanziale e i modi della donazione: in molti casi non vanno direttamente contro il diritto canonico universale, ma significano comunque una “frode” in relazione all’ideale vocazionale inizialmente proposto e voluto dai fedeli. La costante emanazione di “norme” o criteri, mediante scritti interni o note, vanno cambiando continuamente il contenuto dell’ “impegno” secondo l’arbitrio dei direttori. E questa serie di “obblighi”, presentati come concretizzazioni dirette della Volontà divina o come concrete manifestazioni della fedeltà a questo Volere, soffocano il cuore dei fedeli e finiscono per modificare la loro percezione della realtà. Ci sono troppe contraddizioni ed inganni nella pastorale dell’Opera: dalla formazione che si riceve, deliberatamente limitata, settoriale, unilaterale e perfino settaria, fino all’informazione sull’autentica realtà storica, vitale e giuridica della propria Istituzione”.[114]
Alcune considerazioni di sintesi
Quanto riportato in precedenza considera più dati. Ed esige ulteriori studi. Si è in presenza, infatti, di una realtà ecclesiale complessa: la Prelatura dell’Opus Dei. Da tale fatto derivano dei modi diversi di ‘leggere’ le vicende interne di questa Istituzione. E si strutturano in più autori orientamenti difformi. Mentre sul piano esterno, ufficiale, non sembra facile – a parere di molti – far emergere contesti problematici, su quello più profondo si individua in taluni interlocutori la consapevolezza di favorire azioni ‘di rinnovamento’. Anche se le più recenti uscite di numerari (uomini e donne) dall’Opus Dei confermano evidenze utili da studiare, pur tuttavia non si possono accantonare dei passi interni che valutano come obsolete talune prassi e regole. Quanto annotato conduce adesso a qualche considerazione di sintesi.
Il rispetto del tempo
Una prima considerazione deve tener conto di una evidenza: occorre lasciare a ogni espressione ecclesiale – specie se relativamente ‘giovane’ – il tempo per crescere. È importante infatti, superate le prime generazioni di numerari (uomini e donne), riandare con la mente e con il cuore ai passi percorsi. Agli obiettivi raggiunti e alle salite affrontate. Tutto questo è significativo per: approfondire meglio la propria identità, secondo lo spirito fondazionale; avere una visione complessiva del servizio apostolico reso nelle comunità locali; superare eventuali aspetti rigoristi, inutili formalismi, sistemi autoreferenziali; rivedere i metodi di approccio usati con le nuove generazioni.
Il lavoro apostolico
Mentre da una parte è utile il rispetto del tempo (evitando rallentamenti e accelerazioni), dall’altra non si può comunque perdere di vista il lavoro apostolico realizzato dall’Opus Dei in più Paesi. Si tratta di una realtà ove emergono esperienze significative e testimonianze personali non deboli.[115]
Alcuni interrogativi chiave
In tale contesto, per favorire un normale processo di rinnovamento, potrebbe rivelare una qualche utilità un metodo: rispondere ad alcuni interrogativi-chiave.
È stato posto al centro Dio e la Sua Parola, o – al contrario – è stato assegnato un primato assoluto all’Istituzione e alle sue regole da non discutere? È amata e servita la Chiesa in tutte le sue espressioni, o esistono preferenze solo per ambienti vicini all’Opus Dei?
Si è cercato di capire il disegno di Dio sulle singole persone, o sono stati imposti cammini vocazionali con pressioni indebite e tecniche persuasive irregolari? È stato tutelato anche il rapporto diretto tra Dio e il singolo credente, o si è ripetuto che la volontà di Dio è unicamente quella che viene comunicata dai direttori e dai sacerdoti dell’Opus Dei?
C’è stata trasparenza nelle proposte di adesione all’Opus Dei? Sono stati presentati i diversi aspetti dell’Istituzione, o – al contrario – sono stati taciuti più elementi per paura di perdere un possibile nuovo numerario (o numeraria)?
È stato rispettato il disegno di vita dei soggetti più giovani? È stata rispettata la libertà di ogni soggetto? La sua originalità? Le scelte? Sono state ascoltate con reale interesse proposte, osservazioni, critiche, o tutto questo è stato soffocato con tecniche manipolatorie o con discorsi volutamente devianti dalla questione presentata?
È stato difeso il principio di trasparenza nelle realtà ecclesiali o sono stati privilegiati orientamenti tendenti a tenere celati documenti interni dell’Opus Dei?
Sono stati compresi e aiutati con delicatezza e carità i numerari e le numerarie che chiedevano di uscire dalla Prelatura? Sono stati divulgati i dati che riguardano le uscite di numerari (uomini e donne) dall’Opus Dei? Sono state approfondite le motivazioni che hanno indotto molte persone a lasciare l’Istituzione?
I nuovi passi
Evidentemente, gli interrogativi trascritti rimangono solo degli input verso un possibile processo di rinnovamento. Non è da escludere il fatto che la modifica di talune prassi troverà delle resistenze. Qualcuno, magari, penserà a un allontanamento dallo spirito fondazionale e a un indebolimento della forza operativa interna. A ben vedere, però, nella storia della Chiesa molte innovazioni hanno reso meno gravoso il cammino corale. Probabilmente bisognerà rivedere la situazione delle opere e la gestione economica delle stesse (finanziamenti, investimenti, bilanci, trasparenza). Al riguardo si ricorda che – nella storia della Chiesa – il dover amministrare proprietà immobiliari con i relativi servizi territoriali ha finito per appesantire lo spirito delle origini, ha creato affanni di natura temporale, ha accentuato la necessità di un proselitismo, ha diminuito uno spontaneo slancio spirituale (sostituito da un sistema di regole e di pratiche religiose). Probabilmente potrà essere utile riesaminare la figura dei numerari. Con riferimento a quest’ultimi viene da più parti auspicato un chiarimento di identità: sostituire ad esempio l’insistenza sulla totale laicità con una espressione che sia adatta a presentare un fedele che sceglie di vivere in povertà, castità e ubbidienza. Sarebbe proficuo presentare delle proposte vocazionali chiare, complete in ogni aspetto. Si tratta di una fase che non dovrebbe escludere le famiglie ma piuttosto coinvolgerle in un progetto di vita. Ovviamente non spetta a uno storico dire alla Prelatura dell’Opus Dei quello che deve fare. Il compito dello studioso termina alla fine di un’esposizione di dati. Da questo momento in poi egli ha concluso il suo impegno.
Ringraziamenti
Si esprime riconoscenza per le risposte ricevute e per i colloqui ai seguenti interlocutori: dott.ssa Manuela Provera (ex numeraria), dott. Bruno Devos (ex numerario), dott.ssa Agustina López de los Mozos (ex numeraria), monsignor prof. Mariano Fazio (vice Prelato dell’Opus Dei), prof. Luis Martínez Ferrer (numerario), p. Peter Gumpel SI (storico della Chiesa), monsignor Domenico Lugli (giudice al tribunale ecclesiastico del Vicariato di Roma).
ALLEGATO 1: Il vero volto dell’Opus Dei.
Documento consegnato alla Santa Sede nel 2011 da 45 ex numerari.[116]
INTRODUZIONE
La riflessione che proponiamo in queste pagine è fondata sull’esperienza di tante persone durante la loro vita nell’Opus Dei. Nasce come conseguenza di una prolungata considerazione sulla realtà dell’Opera di Dio, ed è verificabile da chi lo desideri grazie all’esistenza di numerose prove documentali di quanto qui verrà detto. È stata realizzata senza rancore ed è motivata soltanto da un desiderio chiarificatore.
È un documento destinato a quelli che possono rimediare ed evitare le sofferenze e i gravi danni prodotti a tante vittime innocenti che si sono offerte generosamente nel servizio di Dio e della sua Chiesa tramite questa Istituzione. Si desidera far loro notare, anche, che tutto quello che sarà detto qui non è esagerato malgrado possa sembrare incredibile a chi soltanto conosce l’immagine che l’Opus Dei ha voluto dare di sé per decenni.
Speriamo che i dati qui presentati siano utili all’adeguato discernimento e alla regolazione dei nuovi carismi.[117]
L’Opus Dei non è quello che il suo insistente lavoro d’immagine vuole mostrare all’esterno. Ha poco a che vedere con l’idea che su di essa hanno una gran parte degli ecclesiastici: un’Istituzione della Chiesa di taglio conservatore, fedele al Papa e al Magistero, molto disciplinata e senza scandali, efficace e responsabile nei suoi apostolati di servizio alle diocesi e portatrice di un stile elegante e secolare.
Senza dubbio la maggioranza dei membri dell’Opus Dei cercano di fare il bene con buona volontà e hanno avviato tante opere buone e istituzioni importanti per la Chiesa e la società. Ma pensiamo che l’organizzazione è viziata alla radice da metodi illegali, immorali e non trasparenti per l’autorità della Chiesa e nemmeno per la maggioranza dei propri sudditi.
Questi metodi non provengono da comprensibili errori personali, bensì si tratta di prassi istituzionali, identificate con il cosiddetto “spirito fondazionale” e che – sorprendentemente – non vengono raccolte negli Statuti consegnati alla Santa Sede. Metodi che sono trasmessi in un nutrito numero di regolamenti interni sconosciuti all’autorità della Chiesa[118], e che contengono enormi abusi contrari ai diritti umani più elementari, ai modi pastorali della Chiesa e alle norme generali del diritto canonico.
Il contenuto di questi regolamenti proviene dal fondatore e viene trasmesso dai suoi immediati successori e collaboratori.
Ci troviamo, quindi, di fronte a una realtà ingannevole e affatto trasparente, molto difficile da comprendere anche per coloro che appartengono all’Istituzione ai livelli più esterni: quanto più per chi la conosce dall’esterno o superficialmente!
In primo luogo è utile sapere che la maggior parte dei membri celibi dell’Opus Dei abbiamo chiesto l’incorporazione in età molto precoce, durante l’adolescenza e la gioventù, e senza quasi esperienza o conoscenza ecclesiale. Tutto quello che abbiamo conosciuto sulla Chiesa e la vita spirituale ci è arrivato tramite l’Opera. Con il passare degli anni qualcuno di noi è arrivato a capire quanto fossero parziali e manipolati gli insegnamenti ricevuti, accorgendosi che molti dei modi istituzionali non erano compatibili con la dottrina della Chiesa né con la sua pastorale.
In questo documento vogliamo riferire soprattutto quanto ha a che vedere con la manipolazione e la distruzione intima delle persone – principalmente dei membri celibi – che l’Opus Dei produce con le sue condotte istituzionali e, oltretutto, in nome di Dio.
Come vedremo più avanti, detta distruzione personale è sommamente radicale in quanto opera nel nucleo sacro dell’intimità della persona, nella sua coscienza e nella sua vita interiore di relazione con Dio, raggiungendo anche tutti i possibili ambiti esterni. In pratica niente sfugge a questa azione. Inizieremo con il considerare come si regola nell’Opus Dei tutto quanto è relativo all’intimità delle persone e, poi, sarà possibile comprendere facilmente i danni che tutto questo può produrre nelle persone e in quale maniera.
I. DANNI AI MEMBRI: MANIPOLAZIONE E DISTRUZIONE INTIMA DELLE PERSONE
1. Dominio e manipolazione dell’intimità delle coscienze. Caratteristiche della direzione spirituale nell’Opus Dei
Per capire meglio quest’argomento vogliamo far notare che il governo dell’Istituzione in tutti i suoi livelli non è mai personale, bensì collegiale: nessuna persona governa da sola nel suo ambito di potestà, ma fa sempre parte di un organo di governo insieme ad altri direttori che, a loro volta, sono stati nominati da un livello immediatamente superiore. Bisogna ricordare questo per capire che l’informazione ricevuta nella direzione spirituale non viene mai recepita da una sola persona. La direzione spirituale nell’Opus Dei ha una serie di caratteristiche che enumeriamo di seguito in modo riassuntivo.
1. È concepita come una delle funzioni proprie del governo dell’Istituzione, quindi è competenza esclusiva dei direttori in quanto tali. Ma non a loro come persone singolari, bensì in quanto appartengono a un organo collegiale di governo.
Quindi la direzione spirituale è portata avanti propriamente da quest’organo di governo, anche se l’atto concreto viene delegato a uno degli appartenenti all’organo collegiale[119], che trasmette – senza consenso dell’interessato – agli altri appartenenti all’ente direttivo, e anche ai direttori superiori, tutta l’informazione ricevuta e attinente al foro di coscienza.[120]
Successivamente, l’organo collegiale di governo fa le indicazioni pertinenti di direzione spirituale che devono essere trasmesse all’interessato.
Così, nell’espletamento dell’attività di governo, vengono confusi e mescolati senza distinzione il foro esterno e quello interno delle persone.
2. La direzione spirituale personale è d’obbligo per tutti i membri con periodicità settimanale per i celibi.[121]
È imposto a ognuno – anche ai sacerdoti – un direttore spirituale laico nominato da coloro che governano e che appartiene a questo gruppo dirigente.[122]
Viene anche imposto un sacerdote confessore, il cui lavoro di consiglio spirituale è sottomesso all’orientamento dei direttori laici, che non possono essere contraddetti.[123] Al di fuori di queste persone imposte – direttore laico e sacerdote – tutti gli altri sacerdoti della Chiesa vengono considerati cattivi pastori, e viene proibito di ricorrere ad essi per motivi di buono spirito.[124] Nessuno sfugge a questa norma. Non esiste, di fatto, libertà di direzione spirituale.
3. È obbligatorio raccontare tutto al direttore spirituale, anche le cose più recondite della coscienza in tutti i campi (pensieri e peccati inclusi).[125] Questa esigenza viene identificata, nella dottrina dell’Istituzione, con la dovuta sincerità verso Dio.
4. Il direttore spirituale non ha obbligo di custodire il segreto su quello che ha ascoltato ma, per ragioni di spirito, lo comunicherà ai direttori superiori[126] tramite informative di coscienza orali o scritte[127], che vengono archiviate e circolano secondo la convenienza.
Questa pratica è conosciuta soltanto da quelli che governano ed è consona con l’idea che la direzione spirituale è un lavoro istituzionale, del sistema. Così, quando una persona viene trasferita a un nuovo centro, attività, regione, ecc., va preceduta da un’informativa di coscienza per conoscenza dei direttori di destinazione, con indicazioni operative annesse. Questa confusione di aree arriva anche, tramite cavilli legalisti, a violare di fatto il segreto della confessione.[128]
5 Si verifica, pertanto, un governo di regime sulla coscienza di ognuno[129] ed una autentica diffamazione istituzionalizzata dei membri da parte dei Direttori, poiché sono molte le persone che hanno accesso a questo tipo di informazione. Si usa la conoscenza dell’intimità personale – sollecitata come per volontà di Dio – per il governo esterno delle persone[130], anche per ciò che si riferisce al lavoro professionale in imprese educative, o di qualunque tipo, dipendenti dall’Istituzione. Il direttore spirituale e il sacerdote si trasformano in controllori, in meri strumenti esecutivi degli ordini di governo, e in soggetti che incentivano la dovuta sottomissione dei membri al dominio dei superiori.[131]
6. Infine, questo modo di concepire la direzione spirituale personale viene considerato parte molto importante dello spirito dell’Opus Dei, e gli viene attribuito un carattere marcatamente soprannaturale e di ispirazione divina del Fondatore, nonostante che contravvenga apertamente alle leggi della Chiesa.[132]
2. La volontà di Dio arriva solo attraverso i Direttori
Secondo quanto appena esposto si comprende perfettamente che le decisioni di governo vengano imposte abitualmente nell’ambito della coscienza, come manifestazione indiscutibile della Volontà di Dio.
In pratica si annullano completamente il valore e il compito specifico della coscienza personale, che è sostituita dalle indicazioni dei direttori.
Questo suppone l’abolizione totale dell’autonomia spirituale della persona, che resta in tal modo soppiantata dall’Istituzione.
Con il pretesto di assecondare la volontà di Dio, identificata senza distinguo con la volontà di coloro che governano[133], si nega di fatto la libertà delle coscienze. E qualunque disaccordo in questo terreno da parte del suddito risulta sempre squalificata come manifestazione di amor proprio disordinato e di superbia. In conseguenza di ciò, la comunicazione con Dio rimane in qualche modo ristretta a quello che possono dire i superiori, che si autocostituiscono, in virtù della loro giurisdizione, come canale unico della volontà di Dio per i membri dell’Istituzione in tutti gli aspetti della vita spirituale, qualificando come cattivo spirito qualunque richiesta di parere ai legittimi Pastori della Chiesa, estranei all’Opus Dei, compreso il Vescovo diocesano.[134]
In tal modo, si escludono i membri dall’azione dei Pastori ordinari della Chiesa e, in buona misura, dalla comunione con loro e dal loro aiuto. Il tema è grave se si considerano nel loro insieme tutte le restrizioni all’autonomia e alla libertà personale che abbiamo già considerato, e dei quali tratteremo subito dopo.
Tali impedimenti, infatti, ostacolano ed isolano i membri dell’Opus Dei dalla comunicazione ecclesiale per mezzo di una pastorale aberrante, che si pretende di esercitare con l’approvazione pontificia, privandoli dell’autentica linfa spirituale di Cristo.
Nella prima formazione ricevuta arrivando nell’Opus Dei, che resta incisa a fuoco nel più intimo di un cuore desideroso di essere santo e fedele a Dio, anche se abbastanza ignorante di tante questioni ecclesiali, vengono inculcati questi principi fin qui esposti come divinamente ispirati al fondatore e come dottrina della Chiesa, condizionando così tutto quello che poi si chiederà all’interessato come conseguenza della donazione e in nome di Dio.
3. Controllo della cultura e dell’informazione
I piani degli studi religiosi e i mezzi di formazione spirituale (conversazioni, esercizi, convivenze, ecc.) sono diretti a confermare la dottrina e la prassi che abbiamo appena descritto e, per questo, nulla c’è in essi di spontaneo né di creativo, dato che quanto si deve dire ed insegnare è stato previsto e pianificato in dettaglio. Si controlla tutto.
Si controllano i manuali di teologia e le letture complementari. Le conversazioni di formazione spirituale debbono rifarsi a delle tracce determinate. Non si permette libertà di cattedra in nessun ambito della formazione interna. Le persone incaricate della formazione sono designate principalmente per la loro fedeltà ai principi istituzionali prima ancora che a quelli della Chiesa, e non importano la loro sapienza o la loro scienza teologica. Qualunque cosa una persona desideri leggere per formarsi dottrinalmente, deve consultarlo ai superiori, che danno o no il loro permesso secondo la convenienza.[135]
Per quanto si riferisce ai libri di lettura spirituale e di meditazione, si è soliti utilizzare solamente quelli raccolti in una lista esistente nei centri, elaborata dal governo regionale.[136] I libri che ognuno legge come lettura spirituale dovranno essere consultati con il direttore, perché li approvi il Consiglio Locale.[137]
Nella biblioteca dei centri si possono trovare solo libri autorizzati.[138] Tutti gli anni, ogni centro deve inviare ai direttori la lista dei libri acquistati recentemente, e vengono ritirati quelli che secondo il loro criterio non sembrino convenienti. L’osservanza di queste norme – si dice – obbliga tutti in coscienza e in modo grave. Allo stesso modo, gli studi e la formazione istituzionale si trovano chiaramente lacerati dagli interessi della manipolazione intellettuale esercitata dall’Istituzione. E neppure esistono libertà e autonomia di investigazione e di docenza nelle Facoltà ecclesiastiche promosse dall’Opus Dei, per quanto possano aver ricevuto dalla Chiesa la condizione di centri universitari.
L’indottrinamento dei membri è incessante, allo stesso modo che esiste un enorme apparato di propaganda per gli esterni, camuffando questa realtà di controllo che abbiamo descritto, mediante costanti manifestazioni dei suoi grandi ideali apostolici e di servizio alla Chiesa.
4. Controllo dell’opinione
Qualunque opinione dissonante con quella ufficiale, tanto per quello che riguarda quanto esposto precedentemente come per quello che riguarda temi teologici, storici e spirituali dell’Istituzione, è fortemente repressa.
Non c’è spazio per una posizione discordante dai postulati e dalle frasi-chiave usate ufficialmente.
Coloro che dissentono in queste materie vengono corretti con fermezza, viene tolta loro ogni responsabilità di formazione e di governo, e vengono forzati perché se ne vadano dall’Istituzione. In caso di legittima discrepanza con la posizione ufficiale perché quest’ultima attenta contro il magistero della Chiesa o contro i suoi sacri canoni, le conseguenze sono le stesse. Non si permette la libertà di espressione e di opinione – nella convivenza con altri membri, nelle riunioni, etc. – quando questa si allontana dalla dottrina ufficiale. Subito arriva una correzione.
Neppure si permette la critica positiva e moralmente sana alla prassi istituzionale. L’opinione legittima riguardo a queste materie – e perfino il solo pensiero discordante – è sempre considerata come una mormorazione e come una mancanza gravissima contro l’unità.
Il peccato più grave nell’Opus Dei è la critica ai Direttori e qualunque “sintomo di disunione” con loro, con le loro opinioni e decisioni, perché essi rappresentano il Padre o Prelato (e questi rappresenta Dio).
Come requisito previo all’incorporazione giuridica definitiva è obbligatorio prendere un impegno o fare una promessa di fronte a testimoni, di non criticare in pubblico o in privato le decisioni dei direttori, e di tagliar corto e correggere molto severamente un altro membro che lo faccia.[139]
Questo impegno di coscienza – si dice – obbliga sub gravi, ma non è contemplato negli Statuti consegnati alla Sede Apostolica.
5. Limitazione grave alla libertà di comunicazione interpersonale
In virtù del cosiddetto spirito dell’Opus Dei, è tassativamente proibita la comunicazione dell’intimità con altri membri: nessuno può riferire agli altri quello che pensa o che sente intimamente. L’intimità può – e deve – essere comunicata soltanto ai propri direttori.[140]
Già si è detto che i pensieri più intimi devono essere comunicati ai superiori come manifestazione di uno spirito buono e come una concreta sincerità con Dio; e nulla può restare nascosto ai superiori[141], poiché questo significherebbe avere una doppia vita davanti a Dio.
I direttori diventano, in questo modo, come i padroni e i signori di questa intimità, e i suoi amministratori. Con tali prese di posizione dello spirito, l’amicizia fra i membri risulta tagliata alla radice. La conseguenza più grave di questa prassi è il completo isolamento personale di ogni membro, la sua assoluta atomizzazione (negazione di un inserimento sociale, ndc).
L’isolamento dei membri e la mancanza di comunicazione tra loro è talmente radicale che si trasformano in esseri completamente indifesi di fronte all’Istituzione, e ignoranti degli abusi di quest’ultima. Unitamente a quanto finora è stato affermato, occorre aggiungere la pratica di una peculiare correzione fraterna sprovvista delle sue caratteristiche evangeliche.
Tale pratica è una delle indicazioni più insistenti nella formazione abituale che l’Opus Dei impartisce ai suoi membri. La correzione fraterna è uno dei mezzi di formazione personale dell’Istituzione, e il suo esercizio si considera come manifestazione eminente del buono spirito, di vibrazione e di amore all’Opera e ai fratelli. In definitiva, è uno dei pilastri dell’Opus Dei, che i direttori utilizzano abitualmente come mezzo di repressione di fronte a qualunque sintomo di dissidenza[142], e come un eccellente strumento di informazione circa la condotta dei suoi membri, dato che è stabilito che per farla debba essere prima consultato il Direttore.[143]
In questo modo non solo si taglia ogni possibilità di amicizia, ma si impedisce la lealtà e si promuove la delazione tra i membri, trasformandoli in autentiche spie e controllori degli altri, poiché tutti spiano tutti (compresi i direttori che spiano gli altri direttori).
Con questa configurazione della correzione fraterna, per la quale ognuno è allo stesso tempo pecora e pastore, si ottiene un generalizzato controllo istituzionale su ogni persona. E questa prassi, che viene presentata come legata allo spirito fondazionale, chiude e sigilla ogni possibile comunicazione tra fratelli, che resta così ridotta ad aspetti molto futili e superficiali.
6. Isolamento dalla famiglia e limitazione delle relazioni sociali
Fin dall’inizio della vocazione e per motivi che vengono fatti passare come una donazione a Dio, si promuove un’effettiva separazione di ogni membro numerario rispetto alla sua famiglia, a prescindere dal fatto che il soggetto possa essere molto giovane e che dipenda ancora economicamente da essa.
Si distanziano e si riducono al minimo le visite ai genitori, e di frequente queste vengono etichettate come un attaccamento spirituale. Si tende a limitare qualunque comunicazione telefonica con loro. Si supervisiona e si censura la corrispondenza scritta, specie durante gli anni dedicati alla formazione intensa. Si limita l’assistenza a eventi familiari e non si permette di trascorrere le vacanze con la famiglia.
Tutto ciò è occasione di non pochi conflitti con i familiari, perché si verificano situazioni difficili da comprendere: per esempio, assenza da celebrazioni di nozze e perfino da ordinazioni sacerdotali di fratelli.
In questo modo, con il trascorrere degli anni, molti membri arrivano ad essere autentici estranei con le loro rispettive famiglie, dato che hanno avuto troppi rari scambi affettivi e numerose incomprensioni a causa dell’obbedienza ai direttori.
Risultano anche limitate le normali relazioni sociali tra i membri celibi, a causa di circostanze diverse, come la strumentalizzazione dell’amicizia sulla base di interessi apostolici, i frequenti cambiamenti di domicilio, le difficoltà a realizzare viaggi, il controllo del denaro e degli orari di uscita e di rientro nel centro ove si vive, la dedicazione professionale a lavori interni, la proibizione di assistere a spettacoli pubblici culturali e ludici, o anche la vigilanza perché nessuno disponga del suo tempo per fatti che non interessano l’Istituzione.
7. Sradicamento sociale e dal mondo
È risaputo che l’uomo è un essere-nel-mondo. Per coloro che sono chiamati a santificarsi lì, l’ancoraggio alla società si produce attraverso vincoli quali la famiglia, la professione, il possesso e l’amministrazione di beni economici propri, l’assunzione di decisioni responsabili in tutti gli ambiti, i legami affettivi, la costruzione della propria persona a partire dalle proprie risorse e, in generale, la matura autonomia nei diversi ordini esistenziali.
Nell’Opus Dei questo risulta sommamente difficoltoso, per non dire impossibile. In effetti, anche se lo spirito si presenta come nettamente secolare e proprio di cristiani normali nel mezzo del mondo, e che si insista sul fatto che non si tira fuori nessuno dal suo posto – e a restare così è l’impegno che si assume quando qualcuno abbraccia questa vocazione -, tuttavia la realtà è completamente opposta per i membri celibi.
Basti pensare al fatto che adottano il regime di vita in comune e di obbedienza dei religiosi: il regime economico di questi membri è di totale dipendenza; inoltre, si orientano professionalmente i membri verso lavori interni non remunerati o verso attività in imprese apostoliche dipendenti dall’Istituzione, privandoli di autonomia professionale ed economica[144]; per il fatto stesso di dover obbedire e consultarsi su tutto, perfino sugli aspetti più minuti (spese, chiamate telefoniche[145], spostamenti; uscite, ecc.), si perde l’autonomia di decidere; i costanti trasferimenti di città impediscono il naturale radicamento sociale e professionale.
I punti di ancoraggio personale nel mondo, sia materiali che affettivi, vengono ritagliati fino ad estremi insospettabili.
Per questo, sono molti quelli che, abbandonando l’Istituzione, non riconoscono il passato come proprio, a causa del fatto che raramente adottarono delle decisioni in modo autonomo. E tutto ciò completa il quadro dell’isolamento del soggetto, al quale ci siamo riferiti in precedenza, e l’enorme avventura e difficoltà – molte volte autentica impossibilità – che suppone il ricostruire la propria vita nel caso si lasci l’Opera.
8. Alienazione rispetto a se stessi
Il controllo dell’informazione e le riduzioni di autonomia nell’attività esterna non sono le realtà più deleterie per il soggetto. Esistono aspetti più gravi, che non si trovano neanche nei regimi politici più totalitari.
È il caso di quelle esigenze di una supposta vita spirituale di santità che privano la persona della sua legittima autonomia nella costruzione di se stessa e della sua relazione con Dio.
Fra queste, è possibile citare:
-la perdita della libertà della coscienza (sostituzione della coscienza personale e della sua autonomia con il regime di obbedienza totale ai direttori);
-la mancanza di autonomia nell’edificazione della propria vita spirituale di relazione con Dio, poiché vengono imposti il direttore spirituale, il confessore, i libri di formazione spirituale, ecc.;
-l’esproprio dell’intimità, a causa dell’obbligo di dare conto della propria coscienza e degli abituali interrogatori sugli aspetti più intimi[146];
-la violazione istituzionalizzata del segreto della direzione spirituale e gli artifici che si utilizzano perché l’interessato parli con il confessore al di fuori della confessione di fatti menzionati all’interno della stessa[147];
-il governo delle persone sulla base delle informazioni di coscienza rese obbligatoriamente al direttore spirituale e ai superiori;
-il regime di governo dei superiori nell’ambito della coscienza, soppiantando Dio;
-l’esigenza di una completa docilità alle decisioni dei direttori – presentati come unici interpreti della volontà di Dio – in materia di vita spirituale[148] (che comprende realmente tutto) cosicché ci si deve lasciar modellare come il fango nelle mani del vasaio; e la costante insistenza sui mezzi di formazione relativamente a una completa sottomissione della persona ai direttori, come concretizzazione della donazione a Dio.
Come si può constatare, non è possibile immaginare una maggiore espropriazione e un maggior dominio della persona fin nella parte sua più intima, realizzata in nome di Dio e col motivo della santificazione.
Dato che questi diritti prima indicati sono quelli che tutelano la libertà più intima e più fondamentale della persona, le conseguenze della loro violazione producono la più radicale alterazione dello sviluppo umano e una grave alienazione della persona rispetto a se stessa.
Infatti il rispetto dell’intimità della persona e della sua assunzione di decisioni vitali è quello che aiuta il soggetto ad essere se stesso. A sviluppare la sua specifica personalità e a raggiungere la dovuta maturazione. Si pensi al fatto che la violazione dei diritti più fondamentali della persona, debitamente proclamati dal Concilio Vaticano II e tutelati dal Codice di Diritto Canonico, non si è verificata mai lungo la storia della Chiesa Cattolica in un modo così completo e sistematico. Ciò è stato possibile grazie al doloso inganno che suppone, da parte del fondatore e dei suoi successori, il governare l’Istituzione ai margini degli Statuti concessi dalla Sede Apostolica, servendosi di regolamenti interni non conosciuti né approvati dalla Chiesa, perché deliberatamente sono stati sottratti al suo discernimento, e che contengono abusi gravi dei diritti fondamentali.
9. Isolamento affettivo e vulnerabilità psicologica
Conviene sottolineare la situazione di vulnerabilità alla quale si trovano sottomessi i membri celibi a causa del già menzionato isolamento affettivo e sentimentale. Risultando incompatibile il rapporto di sincera amicizia e comunicazione tra i membri con quanto stabilito come spirito dell’Opera, la relazione tra loro risulta superficiale e banale; inoltre essa si svolge in un clima di crudele sfiducia per il timore di essere spiati e corretti a motivo dell’inosservanza dello spirito, secondo quanto previsto nella pratica della correzione fraterna, come già annotato.
Il fatto è che la mancanza di comunicazione dei membri è completa in tutti gli aspetti necessari per valutare, paragonandole, le loro esperienze importanti relative alla loro vita in generale e nell’Istituzione, così come per esprimere opinioni su temi spirituali o su indicazioni dei direttori.[149] In tal modo il soggetto resta inerme – tagliati i lacci naturali della retta amicizia -, poiché una persona che non comunica è una persona isolata e indifesa.
Come conseguenza, risulta anche che la tanto vantata vita di famiglia nell’Opus Dei risulta essere una menzogna.
La vita solitaria in comune è la caratteristica generale della vita di famiglia nei centri dell’Opera.
Isolati e senza l’ambiente affettivo della vera famiglia, l’esistenza personale risulta durissima e insopportabile per molte persone entrate nell’Opus Dei perché, tra le altre ragioni, era stato promesso loro il magnifico affetto di una famiglia normale.
In effetti, la vulnerabilità di chi è così isolato è enorme. E non solo perché – come si è detto – essendo impedita l’amicizia ed istituzionalizzata la delazione tra i membri con la correzione fraterna, nessuno sfugge al controllo; ma anzi, peggio ancora, perché la configurazione dottrinale ricevuta e l’impossibilità di intervenire per arrestarla conducono l’interessato ad una visione peggiorativa dei suoi giusti sentimenti discordanti rispetto agli errori della prassi istituzionale. E questo suscita un senso di colpevolezza tanto infondato quanto distruttivo.
A causa di ciò, in virtù di questa configurazione dottrinale ricevuta come spirito dell’Opera, ognuno esercita un autocontrollo ideologico su se stesso e sugli altri, perché considera lo spirito dell’Opus Dei come qualcosa rivelato da Dio ed essenziale nella sua relazione personale con Lui.[150]
In queste circostanze, se qualcuno presenta sintomi di pensiero autonomo, lo si perseguita e lo si schiaccia in modo sistematico senza possibilità di resistenza.[151]
Poiché si tratta dell’urto di una persona – completamente isolata – contro tutto un apparato istituzionale che, oltretutto, si arroga il possesso della verità e della volontà di Dio: “I direttori hanno sempre ragione”, viene detto abitualmente. Gli effetti di questo continuo contrasto sono terribili per il soggetto, che si ritrova solo e viene tacciato come superbo e come ribelle al volere di Dio. Se questo lo fa soffrire e lo scoraggia, immediatamente lo si porta da uno psichiatra dell’Istituzione, e lo si considera un infermo, annullandolo per mezzo delle medicine.
In questo caso l’unica soluzione è andarsene.
Ma in molte situazioni, le più frequenti, ciò è reso molto arduo dal pensiero che l’andarsene sia un tradimento completo a Dio, perché nella formazione ricevuta si identificano corrispondenza a Dio e fedeltà all’Opus Dei; e anche perché la maggioranza dei membri non possono far affidamento su mezzi economici che consentano di andar via, (ciò avviene) in più casi dopo un’intera vita di donazione e senza aver più mezzi di sussistenza.
È possibile affrontare questo tipo di situazioni solo se l’interessato, oltre a usufruire di qualche aiuto esterno all’Istituzione, ha acquisito per conto suo una formazione morale e dottrinale sicure e indipendenti che gli consentano di essere cosciente della manipolazione ideologica alla quale è stato sottoposto, e di sfuggire così mentalmente dal controllo dei suoi Direttori e da falsità dette in ambito spirituale.
10. Vulnerabilità e insicurezza giuridiche
Sul piano giuridico, canonico, la vulnerabilità dei membri dell’Opus Dei è prevista nel modo abituale di procedere dell’Istituzione. Di fatto, i membri non ricevono mai una documentazione scritta della loro relazione con l’Opera: non hanno notificazione scritta della loro incorporazione giuridica all’Istituzione, né dello scioglimento del vincolo nel caso che si verifichi; non viene loro consegnato un certificato degli studi ecclesiastici; non esiste neanche un contratto di lavoro per coloro che si dedicano a lavori interni; non vengono mai conferiti per iscritto le nomine alle cariche.
Ad eccezione dei sacerdoti, nessuno ha la possibilità di dimostrare per scritto la sua appartenenza attuale all’Opus Dei e nemmeno, nel caso di un allontanamento dall’Istituzione, i pochi o molti anni di donazione completa alla stessa.
Neanche coloro che lavorano nella burocrazia e nelle direzioni interne possono documentare la loro relazione lavorativa.
E tutto ciò succede nell’Istituzione dall’inizio.
Si tratta di un fatto particolarmente grave perché va contro il diritto stabilito dalla Chiesa[152], è lo stato di vulnerabilità di quei membri che sono stati oggetto di pene o ammonizioni canoniche imposte verbalmente per decreto extragiudiziale, come si è soliti nell’Opus Dei, senza consegnarne documentazione scritta all’interessato.
In tal modo si impedisce ai membri il diritto di ricorso legale davanti alla istanza competente, dato che non possono provare di essere stati sottoposti a pena, né in base a quali supposti delitti che possano aver commesso.
Tutto questo è anche un modo di preservare l’immagine dell’Opera evitando che gli scandali trapelino all’esterno.
È frequente, anche, che le autorità dell’Opus Dei impongano verbalmente censure canoniche come mezzo coattivo per indurre all’obbedienza e alla sottomissione, senza che il suddito sia incorso in delitti specificati per tale materia nel diritto della Chiesa.[153] Ci troviamo di fronte ad ulteriori manifestazioni del comportamento opaco e abusivo dell’Opus Dei dal punto di vista morale e legale.
Non vogliamo poi tralasciare di esporre una delle nostre maggiori preoccupazioni riguardo l’aspetto giuridico dell’Istituzione, al quale abbiamo già fatto riferimento nelle pagine precedenti, ma che merita un commento speciale.
L’Opus Dei – effettivamente – presenta se stessa con uno spirito nettamente secolare di incontro personale con Dio in mezzo al mondo, la cui caratteristica principale è quella di facilitare la santificazione senza chiamar fuori nessuno dal suo posto, rispettando cioè la vocazione professionale e l’ambiente sociale di ogni persona.
Questo è quello che viene proposto a possibili nuove vocazioni.
Al contrario, risulta di comune conoscenza che l’Opus Dei funziona fin dagli inizi come un Ordine religioso della più stretta osservanza: per quanto si riferisce ai suoi membri numerari e aggregati laici.
Quasi non esiste una differenza reale tra il modo di vita dei religiosi e i loro impegni di povertà, obbedienza e, in generale, di lavorare nei compiti apostolici corporativi.
L’erezione come Prelatura e la sua dipendenza dalla Congregazione dei Vescovi non ha mutato in nulla queste caratteristiche fondazionali di sempre.
D’altra parte, anche se il Codice di diritto canonico – canoni 294-296 – determina che una Prelatura è una struttura clericale formata da presbiteri e da diaconi secolari sotto l’autorità di un Prelato, e che i laici solo cooperano nelle opere apostoliche della Prelatura mediante accordi stabiliti tra le parti, tuttavia, gli statuti della Prelatura considerano membri di pieno diritto i laici.
Ma la cosa più importante è che a sacerdoti e laici dell’Opus Dei si esige di osservare una prassi di vita con degli impegni di donazione che non si trovano specificati negli statuti consegnati alla Santa Sede, ma solo nei regolamenti interni.
Più ancora, tali statuti non hanno alcuna rilevanza nella vita dei membri, a motivo del fatto che non vengono loro consegnati, né viene loro spiegato il loro contenuto.
Invece, quello che realmente regge la vita dei membri dell’Opus Dei sono questi regolamenti interni segreti, non conosciuti né approvati dalla Sede Apostolica.[154]
Questi regolamenti, che costituiscono una normativa parallela a quella consegnata all’autorità della Chiesa, sono doppiamente segreti perché non si rendono pubblici neppure ai membri: ne hanno conoscenza e accesso solo coloro che governano, e secondo i differenti livelli di responsabilità nell’Istituzione ne conosceranno alcuni o altri.
In pratica: i livelli inferiori di governo ignorano i regolamenti sui quali essi stessi sono governati.
Tanto le persone che diventano dell’Opera, come quelle che vi appartengono da anni, non conoscono la realtà di questa doppia regolamentazione giuridica, ignorando completamente la norma ufficiale consegnata dall’Opus Dei alla Gerarchia della Chiesa.
Peggio ancora, la scarsa formazione giuridica che viene impartita ai membri segue la prassi di affermare che la Prelatura dell’Opus Dei forma parte della struttura gerarchica istituzionale della Chiesa[155], malgrado questo non sia riconosciuto così dal Codice di diritto canonico.
Per quanto esposto finora, si ritiene che esistano delle notevoli incoerenze:
-tra l’ipotetico spirito secolare dell’Opus Dei e la prassi reale di vita che si esige dai suoi membri;
-tra quanto previsto nel Codice di diritto canonico per le Prelature personali e gli statuti consegnati all’Opus Dei, specie per quanto si riferisce all’appartenenza dei laici alla Prelatura;
- e, in modo speciale, tra i detti statuti ufficiali e i regolamenti interni segreti, che oltre a contenere abusi gravi contro i diritti umani e i modi pastorali della Chiesa, determinano seri obblighi per i membri che non sono menzionati negli statuti.
In definitiva, pensiamo che tutti questi inganni dolosi, questi occultamenti e queste incoerenze giuridiche rendono necessario un intervento chiarificatore da parte della Gerarchia, al fine di instaurare la legalità nell’Opus Dei, e perché questa Istituzione possa avere un comportamento trasparente con la Gerarchia della Chiesa, con tutti i fedeli cristiani, e anche con i suoi propri membri.
Come è risaputo, le norme canoniche – generali e particolari – devono costituire una garanzia dell’autentico spirito cristiano, della libertà e dei diritti inalienabili dei fedeli, poiché altrimenti questi si vedrebbero non difesi dagli abusi del potere, che in questo caso è esercitato nel nome di Dio.
11. Effetti dannosi di queste prassi dell’Opus Dei sulle persone
Una gran parte dei membri celibi dell’Istituzione pervengono ad essa in età molto precoce, senza maturità, assumendo una vocazione senza il dovuto discernimento spirituale, tanto personale come da parte dei direttori; al contrario, vi giungono come conseguenza di un processo umano coattivo ben disegnato.[156] E questa considerazione può estendersi anche alle vocazioni sacerdotali accettate per obbedienza.[157]
Non è difficile immaginare gli effetti esistenziali di una vocazione inventata e di tutta una vita costruita su un qualcosa di irreale.
Il risultato di quello che si sta esponendo è un deterioramento intimo e una distruzione sistematica delle persone, che sono diluite nell’Istituzione e fagocitate da essa, poiché il bene dell’Istituzione si considera più importante di quello dei membri, l’alienazione da se stessi e lo sradicamento esistenziale. La perdita di ogni relazione stabile e profonda con il mondo (economica e dei beni, professionale, sociale, affettiva …) genera una sofferenza indicibile e prolungata, molto difficile da descrivere, in quelle persone che mantengono la fedeltà alla loro coscienza. Si spiega così l’elevata incidenza di casi di sofferenza mentale di tipo emozionale[158], che arriva a riguardare la metà, o più, dei numerari: dell’Opus:
-depressioni reattive,
-ansietà,
-paure,
-fobie e ossessioni,
-bassa autostima,
-emarginazione,
-suicidi,
-fibromialgie,
-sindromi di fatica cronica,
-spersonalizzazione,
-disperazione completa e disorientamento nella vita.
Ma – a nostro avviso – esiste un danno morale ancora peggiore: è costituito da quella parte di persone che si sono adeguate pienamente alle esigenze dell’Istituzione, annullando la propria coscienza in omaggio all’obbedienza.
Il disturbo di cui costoro soffrono non si manifesta tanto sul piano emozionale e psicologico. Si tratta di un danno molto più profondo e sottile: quello di trasformarsi in fanatici individui robotizzati, persone che hanno perduto il proprio io personale e la capacità di sentire e di decidere da soli: godono dei “privilegi” (anche materiali) di appartenere alla “nomenclatura”, con la stima che questo suppone; sono persone vicine al potere, che hanno girato le spalle alla verità e proclamano solo le eccellenze dell’Istituzione e le consegne e le falsità del “partito”, molto consapevoli di agire contro la ragione, ma assumendosi il proprio ruolo.
In realtà, sono cadaveri di persone, che eseguono freddamente sui loro fratelli le direttive di coloro che governano, siano queste giuste o ingiuste, scusando sempre il loro modo di agire con l’obbedienza dovuta.
Vogliamo sottolineare che la sofferenza causata dalla distruzione delle persone nell’Opus Dei è oggi un problema ecclesiale e sociale molto grave, dato che il numero di vittime si può contare ormai in decine di migliaia di persone. E, nella situazione attuale, esiste l’aggravante che queste pratiche immorali distruttive sono perfettamente istituzionalizzate come costitutive dello spirito di un’organizzazione approvata dalla Chiesa.
12. Danni per la vita spirituale dei membri
Nell’Opus Dei i direttori sostituiscono Dio nell’orientamento della vita spirituale dei membri e, come si è già detto, annullano completamente la capacità decisionale dei soggetti nella propria vita personale.
Non c’è da stupirsi che questa realtà conduca a perdere l’autentico contatto personale con Dio, e oscuri la vita interiore. Quest’ultima, viene intesa all’interno dell’Istituzione come il compimento esatto di tutto quanto è stabilito e come sottomissione piena a coloro che governano, mentre la pastorale si riduce ad una ascetica semipelagiana di meri sforzi umani.
Tali posizioni finiscono per condurre a una vita spirituale volontaristica e di perfezionismo umano a causa del quale molti, dopo aver realizzato per tanti anni delle strette pratiche di devozioni e di orazione, al momento di abbandonare l’Istituzione – e qualche volta addirittura prima – perdono la fede o si allontanano da Dio.
Altri rifuggono in maniera fobica dall’entrare in un tempio o dal rapporto con un sacerdote.
Sono anche molti quelli che diffidano e che si scandalizzano dell’autorità ecclesiastica dato che non mette rimedio agli abusi dell’Opus Dei, ripetutamente denunciati in questi anni.
13. Situazione di coloro che decidono di abbandonare l’Opus Dei
La situazione di coloro che se ne vanno dall’Istituzione, dopo aver per molti anni vissuto le esigenze di una donazione a Dio, acquisisce tinte drammatiche.
Generalmente l’uscita avviene perché una persona ormai non ne può più, a causa del deterioramento della situazione psicologica o dei conflitti con i superiori.
L’esperienza ci dice che molte di queste persone non abbandonano a causa dell’attrazione verso le vanità mondane o per dare le spalle a Dio, ma perché hanno sorpassato il limite della loro resistenza umana. Abbandonano perché distrutti a tutti i livelli.
Buona parte di loro lasciano l’Opus senza avere una professione, nella penuria economica più assoluta e senza possibilità di trovare lavoro.
Quelli che si sono dedicati a lavori interni (la maggioranza), se ne vanno in età avanzata senza versamenti contributivi al sistema pensionistico, senza esperienza lavorativa, e in condizioni psicologiche carenti. Ricostruire la vita in queste circostanze è molto difficile. Dal punto di vista emotivo, di solito non è più realizzabile trovare una persona con la quale formare una famiglia. D’altro canto non è sempre possibile rifugiarsi nella propria famiglia quando sono trascorsi tanti anni di allontanamento e di estraneità, indotti dall’Istituzione come presupposto di donazione.
È anche frequente che queste persone si trovino sradicate dal mondo, con l’impressione soggettiva di essere stati ingannati e di aver perso i migliori anni della loro vita: una vita che non riconoscono come propria perché non ne sono stati gli artefici principali.
Non dovrebbe rendersi l’Opus Dei responsabile delle necessità economiche di persone che hanno donato l’intera loro vita, anche lavorativa, al servizio della Chiesa in questa Istituzione, debitamente legalizzata dall’autorità ecclesiastica?
Ci siamo già riferiti molto sommariamente alla situazione religiosa di quelli che se ne vanno. Però vorremmo far notare che sono pochi quelli che hanno lasciato la Prelatura come conseguenza di un discernimento dottrinale e teologico degli abusi dell’Istituzione, inaccettabili per ogni coscienza retta. La maggioranza, a motivo della formazione ricevuta, non sono in grado di percepire questi abusi istituzionali, né di attribuir loro la causa della propria situazione. Per questa ragione, abbandonando l’Opera quando non ce la fanno più, sono soliti farlo con la sensazione di stare tradendo Dio, dato che identificano la perseveranza nell’Opus Dei con la fedeltà a Dio.
Quelli che lasciano l’Opera sono generalmente considerati dei traditori.
Si vieta loro qualunque lavoro che abbia relazione con l’Istituzione e con i suoi membri, e si proibisce loro di visitare i centri dell’Opus Dei, per evitare “scandali”. Con quelli che potrebbero appannare la buona immagine dell’Opera il rapporto suole essere durissimo, poiché li si squalifica di fronte all’autorità della Chiesa e nell’ambiente interno all’Opus Dei per mezzo di calunnie e maldicenze, proferite alle loro spalle e senza che essi lo sappiano e possano difendersi. L’esperienza che abbiamo su questo modo di procedere è abbondantissima.[159]
Insomma, non vogliamo estenderci in descrizioni, dato che pensiamo che sia sufficiente quanto finora detto perché chiunque possa farsi carico dei danni che posizioni istituzionali di questo tipo provocano alle persone. E non solo nelle persone che se ne vanno ma – peggio ancora – in quelle che perseverano dentro, perché, in una percentuale altissima, quelle che rimangono si trovano in un pessimo stato psicologico, in un modo o nell’altro, restando sottomesse a tale dominio degradante. Sono molte le vittime che stanno soffrendo l’indicibile all’interno dell’Istituzione, interiormente attanagliate dal proposito di fedeltà a Dio o nell’impossibilità concreta di abbandonarla.
II. DANNI ALLA CHIESA
1. Una “organizzazione di potere” che minaccia la libertà della Chiesa
Ci sembra che l’autorità della Chiesa debba avere conoscenza del particolare funzionamento dell’Opus Dei come organizzazione all’interno della stessa.
Non è solo il carattere integralista dell’Opus Dei[160] quello che ci preoccupa, quanto il fatto che si impongono le idee integraliste del suo fondatore al di sopra della Dottrina ecclesiastica e dei progressi del Magistero.
Questa mancanza di sintonia con la verità e con lo Spirito Santo non costituisce un servizio ai fedeli. Ma ciò non è il fatto più grave. Quello che allarma maggiormente riguarda la struttura dell’Istituzione, il suo funzionamento, gli obiettivi ecclesiali che intende raggiungere, e il modo con il quale è arrivata a inserirsi nell’organizzazione ecclesiastica.
In effetti, la struttura dell’Opera è piramidale, con un potere assoluto detenuto da coloro che comandano, senza alcuna partecipazione della base.
Si è già fatto cenno al fatto che si tratta di un’organizzazione totalitaria nella sua prassi e di livello internazionale, nella quale tutta l’informazione sui suoi membri – compreso il foro interno delle coscienze – arriva al vertice. Ma, essendo un’organizzazione di livello internazionale, al suo interno circolano anche informazioni sulle autorità ecclesiastiche, come se si trattasse di un’agenzia di intelligence centralizzata, perché sono considerate di interesse per l’Istituzione.
Di fatto, attraverso delle informative segrete, l’informazione più delicata si trasmette alla sede centrale usando un libro di chiavi chiamato Augustinus, che ben pochi direttori conoscono e utilizzano. Le informazioni che con maggior interesse si ricavano sono quelle relative a vescovi, nunzi, Curia Romana e diocesi.[161]
Tale documentazione, e i giudizi in essa riportati, servono poi a disegnare strategie di influenza e di potere.
È ben conosciuto il costante “lavoro di immagine” che l’Opera realizza con gli ecclesiastici e con i mezzi di comunicazione. A tale impresa si dedicano moltissime persone e mezzi. Ebbene, questo rapporto in teoria amichevole con i membri della gerarchia è mantenuto anche per raccogliere informazioni.
Le informazioni arrivano da tutti i canali, attraverso qualunque soggetto che è membro della organizzazione o che sia in contatto con essa: può essere un sacerdote diocesano della Società Sacerdotale della Santa Croce, che dipende dall’Opus Dei; può trattarsi del segretario, dell’autista o della donna delle pulizie di un vescovo; di una persona che lavora in un dicastero della Curia Romana. Possono arrivare da un membro soprannumerario amico di un vescovo; da chiunque ascolti una conversazione…
Tutti questi dati, anche i più piccoli, arrivano ai direttori e servono ad arricchire i dossier che l’Opus Dei mantiene aggiornati sulla gran parte dei vescovi nel mondo.[162] Con tali informazioni è molto semplice elaborare strategie muovendo, da diversi luoghi del mondo, persone vicine e amiche – cardinali, nunzi e vescovi, che siano in debito di favori e che abbiano interessi comuni – con il fine di riuscire a raggiungere “quote di potere” o influenza all’interno della Chiesa; o anche a rendere difficoltosa l’ascesa e la promozione di altri che non interessano all’Opus.
È un lavoro capillare, si avverte appena ma è molto efficace: si sa che esiste – molti sono soliti dire informalmente che “l’Opus Dei ha molto potere”-, ma non si sa cosa realizza, attraverso quali canali.
Qual è il fine di questo potere? Il Prelato e i direttori dell’Istituzione sono soliti dire che è per servire la Chiesa. Certo, però è un servizio alla Chiesa secondo il modo di ragionare dell’Opus, secondo la sua ideologia particolare. Quest’ultima è tradotta in dogmi che loro stessi si fabbricano e che cercano poi di imporre agli altri.
Al riguardo, è curioso il fatto che il Prelato e i direttori seguono un comportamento obbligatorio per gli altri, mentre loro stessi si esonerano dall’osservanza delle leggi morali più elementari, come si è già visto.
In realtà, ritorna sempre un obiettivo persistente: appianare il cammino all’azione dell’Opera e blindarla di fronte alle possibile denunce dei suoi maneggi.
Riteniamo che una organizzazione di potere interno assoluto, di ambito internazionale, con un criterio unico, e così fortemente strutturata, costituisca un autentico pericolo per la stessa Chiesa in quanto, per la sua capacità di manovra, può privarla della necessaria libertà.
Si afferma ciò a motivo del fatto che nella Chiesa non si deve imporre la “nostra verità” sulla base di strategie centralizzate di potere, ma si deve lasciare spazio allo Spirito Santo affinché sia Lui che, operando sulle persone e sulle comunità, e seguendo i suoi tempi[163], ci conduca alla piena verità.
2. Alterazioni della verità storica
Altri modi di operare dell’Opus Dei, oltre a quelli citati, causano pure dei danni profondi al Corpo della Chiesa, perché toccano il nucleo della sua credibilità. Esistono dati sufficientemente documentati che riguardano la figura del Fondatore e che devono essere conosciuti dall’Autorità ecclesiastica competente.
Rinunciamo ad esporre qui questo tema e ci limitiamo ad allegare due lavori dello storico Giancarlo Rocca.[164]
CONCLUSIONE
Comprendiamo la difficoltà per un estraneo di avvertire la portata degli abusi che si verificano nell’Opus Dei e dei loro conseguenti e molto gravi danni alle persone. Esiste una enorme mancanza di conoscenza rispetto a ciò. Ma il problema che abbiamo descritto, per quanto incredibile possa apparire, si presenta esattamente nel modo con il quale lo abbiamo riferito. Grazie a Dio siamo in grado di provare le nostre affermazioni.
Nel presente scritto ci siamo voluti soffermare sui danni che un’organizzazione di questa indole, che agisce al riparo dell’autorità concessa dalla Chiesa, produce nelle vittime che si sono avvicinate ad essa cercando Dio. Ci troviamo davanti ad un disordine istituzionale che macchia la credibilità di molte procedure ecclesiali, di fronte ad una frode di enormi dimensioni perpetrata in nome di Dio e usando il potere concesso da Dio.
Speriamo che l’Autorità ecclesiastica, pensando alle vittime e all’immagine di Cristo che illumina la Chiesa, ritenga di dover fermare questa aberrazione e non rimandi la sua azione fino a quando lo scandalo non sia giunto ai tribunali civili e ai mezzi di comunicazione sociale, o fino a quando, tra qualche secolo, dovrà purificare la sua memoria storica.
[36] Cit. L. Carandell, Vida y milagros de Monseñor Escrivá de Balaguer. La santa cólera. Cf il sito:
http://www.opuslibros.org/vida_milagros.pdf.
[37] Cf anche: http://opuslibros.org/nuevaweb/modules.php?name=News&file=article&sid=8512.
[38] Cit. J. Escrivá de Balaguer, in: ‘Cronica’, II, 1972.
[39] Testimonianza di p. Vladimir Feltzmann (Londra). In: F. Pinotti, Opus Dei segreta, op. cit., p. 254.
[40] Id., in F. Pinotti, Opus Dei segreta, op. cit., p. 255.