GUERRE SERVILI, UN ESEMPIO ANTICO

di Massimo Iacopi -

Nell’antichità si sono strutturate le più grandi società schiaviste. Non senza sussulti e rivolte. Fra il 140 a.C. e il 100 a.C., prima ancora della guerra condotta da Spartacus, l’ordine romano era stato minacciato in Sicilia da eserciti di schiavi organizzati.

Le rivolte di schiavi costituivano un fenomeno ricorrente nell’antichità, ma disponiamo di poche fonti e per di più la letteratura classica difende il punto di vista dei padroni. Eppure gli schiavi, da soli o in gruppi, hanno periodicamente sfidato la temibile reazione dei padroni e degli Stati. Nella Roma repubblicana casi di resistenza organizzata vengono attestati a partire dalla fine del VI secolo a.C. Dalla seconda metà del II secolo a.C. si assiste allo scoppio di vere e proprie guerre servili.
L’economia schiavista della Repubblica si era sviluppata soprattutto dopo le vittorie romane nel Mediterraneo orientale, che avevano fatto affluire un gran numero di prigionieri nelle città e nelle campagne dell’Italia e delle province. Le vittime dell’imperialismo romano venivano catturate come bottino di guerra oppure rapite dai pirati della Cilicia o dell’isola di Creta. Decine di migliaia di donne, uomini e bambini venivano in tal modo incamminati verso il grande mercato di schiavi dell’isola di Delos, il cui scalo era stato dichiarato porto franco nell’anno 166.
Strabone, nell’evocare il gran numero di esseri umani venduti a Delos, afferma nella sua Geografia che i Romani, «arricchiti dalla distruzione di Cartagine e di Corinto, si erano ben presto abituati a servirsi di un gran numero di schiavi. I pirati, da parte loro, hanno rapidamente compreso il vantaggio che potevano trarre da questa circostanza e, conciliando i due mestieri, quello di brigante e quello di mercante di schiavi, in poco tempo si sono moltiplicati» (XIV, V, 2).
In effetti questa enorme massa umana comprendeva anche uomini d’armi: prigionieri di guerra, briganti e disertori che si erano già battuti per Roma come mercenari o ausiliari e che avevano appreso le tecniche d’avanguardia dell’esercito romano. Inquadrati da comandanti esperti e coraggiosi, questi uomini erano in grado di scatenare vere e proprie guerre, che le fonti romane qualificano con disprezzo come bellum servile, al fine di distinguerle dalle altre forme di bellum iustum condotte, queste, “secondo le regole del diritto”.

Per i padroni del mondo un sollevamento di schiavi non poteva essere considerato né come una guerra esterna, né come una guerra civile. Ai loro occhi, i protagonisti di questi scontri erano solamente schiavi recalcitranti, “animali dotati di parola” che occorreva schiacciare o restituire ai rispettivi proprietari. Nel migliore dei casi venivano considerati come vili briganti. Certo non era nello stesso modo che si vedevano questi “disperati”, che erano stati uomini liberi prima di essere venduti e quindi deportati in Italia o nei territori controllati da Roma.
Il loro rappresentante più celebre è il trace Spartacus, oggetto di ammirazione a partire dal XVIII secolo (la tragedia Spartacus, di Bernard Joseph Saurin, è stata rappresentata per la prima volta nel 1760 alla Comedie Française). I moderni, anche per motivi ideologici, hanno esaltato il suo ruolo di campione della libertà durante la guerra che condusse contro Roma fra il 73 a.C. e il 71 a.C. Basti ricordare il film Spartacus di Stanley Kubrik (1960), tratto da un romanzo di Howard Fast. Tuttavia, la figura di Spartacus e la sua ribellione non assumono tutta la loro dimensione se non si prendono in considerazione avvenimenti meno celebri, ma certamente di grande rilievo, avvenuti 100 anni prima: le rivolte siciliane della seconda metà del II secolo a.C.
La fonte principale sulle guerre di Sicilia è la Biblioteca Storica di Diodoro Siculo, anche se per questo periodo non ci è pervenuta nella sua completezza (ne rimane qualche estratto e un riassunto successivo di epoca bizantina). Pur riflettendo il punto di vista delle autorità romane Diodoro, nato ad Agyrion (oggi Agira, nella Sicilia centrale), aveva accesso a una documentazione locale di prima mano. L’epicentro della rivolta si trovava a una ventina di chilometri dalla sua città natale, Enna, dove un certo Damophilos (Damofilo) trattava i suoi schiavi con crudeltà e arroganza, ivi compresi anche quelli domestici (a questi di norma veniva riservato un trattamento più delicato). Come presso altri ricchi proprietari siciliani, gli schiavi di Damophylos che lavoravano di giorno nelle campagne, venivano chiusi per la notte nelle prigioni, denominate ergastula; quelli che lavoravano come guardiani delle greggi, meno controllati, venivano lasciati invece a contatto con la natura, armati di clave, lance, bastoni da pastore e mute di cani.

Eunus (Euno) prende le armi

Eunos, statua nel castello di Lombardia a Enna

Eunus, statua nel castello di Lombardia a Enna

Gli schiavi di Damophylus avevano raggiunto un alto grado di esasperazione per i maltrattamenti che il loro padrone e sua moglie Megallis infliggevano loro regolarmente. Un gruppo di ribelli decise quindi di passare all’azione, scegliendo come capo il siriano Eunus, che Diodoro presenta come un vero ciarlatano carismatico, famoso anche per le previsioni che pretendeva di ricevere dagli dei.
I ribelli, convinti da Eunus che il favore divino fosse dalla loro parte, provvedono «a liberare dai loro ferri gli schiavi che abitavano nel vicinato (erano circa quattrocento) e si riuniscono in una proprietà rurale nei pressi di Enna. Essi concludono un patto fra di loro e, di notte, si danno mutualmente delle garanzie, sulla base di un giuramento sulle vittime immolate. Quindi, essi si armano compatibilmente con il materiale reso disponibile dalle circostanze! Ma tutti si equipaggiano della più potente delle armi, la collera che li animava e che mirava alla distruzione dei padroni arroganti! Eunus li guida ed essi, incoraggiandosi mutualmente, effettuano una irruzione nella città verso la metà della notte, massacrando tutti gli abitanti» (XXXIV, 8). I vincitori hanno certamente sfogato la loro rabbia contro i proprietari più crudeli e qualche altro notabile, mentre Eunus provvede a mettere in catene gli abitanti della città, obbligandoli a fabbricare armi per il suo esercito. Incitati dal successo degli schiavi di Enna, altri schiavi si sollevano nel territorio di Agrigento. Il cilicio Cleone, un vecchio brigante delle montagne del Tauro impiegato come guardiano di cavalli, dà inizio a sua volta a una guerriglia contro questa ricca città greca.
Se altre fonti presentano gli insorti di Enna come bruti assetati di sangue, questo non è il caso di Diodoro Siculo, che sembra avere nei confronti della rivolta uno sguardo relativamente benevolo, precisando, ad esempio, che i rivoltosi di Enna si erano preoccupati di risparmiare la figlia di Damophylos, da sempre comprensiva con gli schiavi.
Il movimento degli schiavi riesce, in poco tempo, ad assumere il controllo di diverse città siciliane. Il consigliere di Eunus era Achaios, presumibilmente un greco catturato dai Romani all’epoca della distruzione di Corinto nell’anno 146, che non esitava a discutere con lui con molta franchezza e, soprattutto, temeva le conseguenze delle esazioni degli schiavi ribelli. Alcuni di essi erano arrivati persino a tagliare le mani e le braccia dei loro prigionieri.

Una riscossa orientale?

In definitiva la sfida della rivolta non si limitava alla vendetta dei “dannati della Terra”, si avvicinava altresì alle visioni utopiche che diversi filosofi dell’epoca proponevano in reazione alla violenza dell’imperialismo romano. Un mondo al contrario dove fosse possibile che gli schiavi dominassero i padroni.
Non si deve sottovalutare l’attaccamento dei ribelli della Sicilia alle loro origini. Eunus aveva assunto il nome regale di Antioco, dal nome del sovrano vinto dai Romani in Asia minore nell’anno 189. Egli aveva scelto anche di denominare le sue truppe i “Siriani, una allusione, forse all’impero seleucide, erede delle conquiste asiatiche di Alessandro Magno. I Romani lo chiamavano ormai Regno di Siria ed avevano già imposto il loro ordine in Asia minore, dopo aver battuto Antioco III.
È pertanto possibile che il nuovo Antioco e i suoi uomini, richiamandosi a una identità siriana, abbiano potuto pensare il loro movimento come una sorta di riscossa contro l’invasione romana. L’origine orientale degli schiavi aveva, d’altronde, favorito la coesione delle forze, per di più in una provincia, la Sicilia, dove si parlava ancora il greco, e che favoriva una certa facilità di comunicazione rispetto agli schiavi del resto della penisola.
Il “re” di Enna poteva, dunque, appoggiarsi su questo nome prestigioso. Farà anche coniare monete con il suo nome, monete che costituiranno un formidabile strumento di comunicazione e un’arma in più per condurre in porto la sua lotta e creare una rete di alleanze complesse. In effetti, grazie alle abilità degli schiavi cilici – vecchi pirati – egli sperava di allacciare contatti con l’Oriente mediterraneo, dove non mancavano nemici di Roma.
Evidentemente, agli occhi dei Romani, tutto questo appariva come un vero e proprio mondo all’inverso. Secondo Diodoro, Eunus, ubriacato dal suo successo, «inizia a sparlare sul conto dei Romani, dichiarando che gli schiavi non erano loro ma i Romani, fuggitivi scampati alle battaglie» (XXXIV, 18). Queste dichiarazioni non erano solamente spacconate e vanagloria, dal momento che l’esercito degli schiavi era arrivato a raggiungere i ventimila uomini. Nell’anno 138 esso era riuscito a battere il contingente inviato da Roma, ben 8 mila legionari, agli ordini del nuovo governatore, il pretore Lucius Hypsaeus.

Le sconfitte romane, in effetti, si concatenano e i Romani più interessati a ristabilire l’ordine in Sicilia avevano cominciato a raccogliere un “libro nero” nel quale venivano elencati tutti i crimini commessi dagli schiavi. In tal modo, il tono patetico che si percepisce da certi passaggi di Diodoro mette in evidenza che i proprietari siciliani cercavano di convincere il Senato romano a dotarsi di mezzi adeguati per vincere finalmente i ribelli. Nel 134 Roma invia sul posto il console Gaius Fulvius Flaccus senza risultati significativi. Ma, a questa data, la maggior parte delle legioni risultava impegnato in Spagna, nella lunga guerra contro i Celtiberi, che stava causando molte perdite ai Romani e che terminerà con il lungo assedio di Numancia, conquistata nell’anno 133.
Le fonti non consentono di precisare la cronologia esatta della prima guerra siciliana, che alcuni fanno iniziare solamente nell’anno 135, ma è possibile che essa possa essere cominciata anche prima. Comunque sia, questa prima guerra servile durò molto tempo e l’ordine sociale e politico nella provincia della Sicilia sarà ristabilito solo diversi anni dopo.
La situazione si sblocca solo quando il Senato decide di inviare un esercito più importante, agli ordini del console Publius Rupilius, che, nell’anno 132, spezza gli ultimi focolai di resistenza dei “briganti”. Eunus viene catturato e morirà in prigione a Morgantina. Ma nonostante la sconfitta dei ribelli, le idee continueranno a circolare; l’utopia di un mondo in cui gli schiavi potessero prendere il potere non era morta.
Alla fine del II secolo a.C. scoppiano altre rivolte, questa volta in Campania. In quest’epoca Roma è in preda a una nuova crisi, causata dalle invasioni dei Cimbri e dei Teutoni nel nord della penisola. I Romani avevano bisogno di alleati e chiederanno aiuto in Oriente. Ma i regni “amici” mal sopportavano le esazioni delle temibili società dei pubblicani, cavalieri romani incaricati di riscuotere le imposte, che non esitavano a ridurre in schiavitù i loro sudditi indebitati.

Da Tryphon (Salvius) a Spartacus

Le guerre servili nell'impero romano

Le guerre servili nell’impero romano

È proprio in questo contesto che scoppia, ancora una volta in Sicilia, una nuova rivolta di schiavi. Nell’anno 104, il pro pretore Licinius Nerva, applicando le disposizioni del Senato, aveva iniziato a concedere la libertà a diversi schiavi; ma di fronte alla forte pressione dei ricchi proprietari e dei pubblicani (e senza dubbio con l’ausilio di “mazzette”), egli decide di mettere fine alla sua azione. La reazione degli schiavi delusi non si fa attendere e numerose violenze si scatenano in diversi luoghi dell’isola. È in questo contesto che entrano in scena, nel 104, nella Sicilia occidentale, nuovi capi carismatici: Salvius, nella regione di Heraclea, e il cilicio Athenione, fra Segesta e Lilybeo.
Si ripete lo scenario della prima rivolta: mentre Roma è alle prese con la guerra contro Giugurta, re di Numidia, Salvius, alla testa di 30 mila uomini, sconfigge, nel 103, l’esercito del pretore romano nei pressi di Morgantina, quindi si reca al santuario degli dei palici, dove si fa nominare re con il nome di Tryphon (Trifone). Come nel caso di Antioco, questo nome, facendo allusione a Diodote Tryphon, che aveva usurpato il trono fra il 143 e il 138, evocava il potere seleucide. La residenza del nuovo “re”, al quale si affianca Athenione, «obbediente a Tryphon come un generale obbedisce ad un re», era la cittadella di Triokala (probabilmente l’attuale Caltabellotta).
I massacri di uomini liberi e di schiavi che avevano rifiutato di aderire alla rivolta risulteranno altrettanto terribili di quelli della prima guerra servile. Ma questa volta «non si trattava solamente della folla di schiavi lanciati nella rivolta che si dava ad incursioni, ma anche quella degli uomini liberi che, non possedendo beni nelle campagne, si davano al saccheggio ed alle esazioni», secondo la testimonianza di Diodoro (XXXVI, 2.1).
In definitiva, una situazione di piena anarchia. Ma Roma aveva saputo trarre ammaestramenti dall’ultima rivolta siciliana e questa volta, nell’anno 103, invia un contingente di quattordicimila mila uomini, accompagnati da due corpi di mercenari, provenienti dalla Lucania, dalla Grecia e dalla Bitinia. Il comandante in capo era il nuovo pretore Licinius Lucullus, che si era già distinto schiacciando la rivolta campana.
Tryphon verrà ucciso da Licinius e Athenione, che gli succede nella direzione della rivolta, riesce a ravvivare la ribellione tanto che Roma sarà costretta a sostituire Licinio. Occorreranno quattro anni perché la ribellione venga definitivamente domata dal console Manius Aquilius, che nell’anno 101 uccide Athenione in combattimento e successivamente provvederà a eliminare gli ultimi focolai di resistenza.

In seguito, i governatori emaneranno editti che vieteranno agli schiavi il porto delle armi. Essi però avevano sottovalutato una forma particolare di servitù, quella dei gladiatori, guerrieri obbligati a battersi per il piacere dei Romani. Uno di questi guerrieri schiavi era il trace Spartacus, che aveva prestato servizio con i Romani in qualità di mercenario e quindi di ausiliario, prima di disertare. Catturato e venduto come schiavo, era stato assegnato alla “scuola” di gladiatori di Capua, in Campania. Alla testa di un piccolo gruppo, egli riesce ad evadere e, dopo un primo combattimento contro una guarnigione romana, riesce ad armarsi adeguatamente.
A differenza dei capi siciliani, Spartacus non si richiama a un passato reale. Guerriero esperto, valido tattico, con qualità di fine stratega, egli riesce ad ottenere la lealtà delle sue truppe, propugnando la divisioni in parti uguali del bottino. Egli ipotizza una alleanza con Mitridate VI, re del Ponto che nell’anno 88 aveva fatto sterminare migliaia di Romani e di Italici della provincia d’Asia e aveva messo a morte il legato consolare Manius Aquilius – colui che aveva domato la seconda rivolta siciliana – in un modo particolarmente atroce. Questa alleanza, però, non potrà mai realizzarsi.
Un nuovo capitolo della storia delle rivolte viene dunque ad aprirsi e, probabilmente, Spartacus avrebbe avuto maggiori possibilità qualora fosse riuscito a passare in Sicilia, considerata la terra promessa dei ribelli. I porti dell’isola, però, risultavano altamente sorvegliati agli ordini di un pretore romano, il famoso Verre che, poco dopo, avrebbe subito gli attacchi oratori di un giovane e brillante avvocato, un certo Marco Tullio Cicerone. Nell’anno 71, in Lucania, in un combattimento finale condotto contro le legioni guidate dal proconsole Crasso, Spartacus troverà la morte: il suo corpo, si dice, non sarà mai ritrovato, probabilmente perché reso irriconoscibile. Crasso riserverà una fine atroce ai seimila prigionieri dell’esercito ribelle: verranno crocefissi sulla via Appia, fra Capua e Roma. Nascondendosi nelle montagne, alcuni ribelli risciurono a sopravvivere alla mattanza: nell’anno 60 il pretore Caio Ottavio, padre del futuro Ottaviano Augusto, sarebbe riuscito ad eliminare definitivamente questi ultimi scampati, che si muovevano nell’Italia meridionale praticando il brigantaggio. Il capitolo delle grandi rivolte servili, in Italia e in Sicilia, si chiude così definitivamente.

Per saperne di più

Andreau J., Descaut René, Esclave en Grece et à Rome, Hachette, 2006.
Diodoro di Sicilia, Storia universale, per Giovanni Desiderj ai Portoghesi, con Licenza de Superiori, 1793.
Diodoro di Sicilia, Storia Universale, Roma, dalle stampe, e a spese di Vincenzo Poggioli, 1813-1815.
Diodoro Siculo, Bibliotheca historica, Amstelodami, sumptibus Jacobi Wetstenii, 1746.
Diodoro Siculo, Bibliotheca historica, Lugduni (Lione), apud Haered Seb. Gryphii, 1559.
Finley M. I., La Sicilia antica. Dalle origini all’epoca bizantina, Macula, 1986.
Sallustio, Bellum Iugurtinum.
Strauss B., The Spartacus War, Simon e Schuster, New York, 2010.
Tito Livio, Ab Urbe condita.