IL NICHILISMO RUSSO
di Max Trimurti -
Nel 1861 Ivan Sergeevic Turgenev conia il termine “nichilista” per indicare la nuova generazione di rivoluzionari che indirettamente aprirà la strada alla rivoluzione bolscevica del 1917.
Domenica 13 marzo 1881, a San Pietroburgo, i rivoluzionari russi mettono a segno la loro azione più spettacolare: l’assassinio dello Zar Alessandro II Romanov. Il sovrano, accompagnato dalla moglie Ekaterina Michajlovna Dolgorukova, dopo aver passato in rivista la guardia, riprende il suo cammino, quando la carrozza imperiale diventa il bersaglio di una bomba lanciata da un terrorista appostato lungo il percorso del corteo. L’esplosione è terribile, due cosacchi della scorta e due ragazzi vengono feriti, mentre lo zar ne esce indenne. Egli si porta immediatamente al soccorso delle vittime, ma un complice lancia una seconda bomba. Ferito al volto, con le gambe dilaniate, lo zar, vittima di emorragia, spira poco dopo nel palazzo d’Inverno. Dopo aver abolito il servaggio della gleba venti anni prima, il sovrano stava per impegnarsi in un ciclo di riforme liberali. Ma tutto ciò non interessava i suoi fanatici assassini, disposti a qualsiasi violenza pur di costruire una vagheggiata nuova società. Un trasformazione pacifica dell’impero e la sua possibile evoluzione sulla strada delle riforme “borghesi” poteva legittimare la politica del sovrano e ridurre loro stessi al rango di una minoranza emarginata e di fatto estranea alla società reale.
Alle origini del nichilismo
I rivoluzionari che hanno appena perpetrato l’attentato sono i fautori di una ideologia formatasi nel corso degli anni ’60 dell’Ottocento e che si è sostituita “all’occidentalismo” di una parte dell’aristocrazia e alla “slavofilia” di tutti quelli che contestavano il modello liberale europeo. Essi fondavano la loro ostilità al dispotismo sull’evocazione di una tradizione russa anteriore a Pietro I il Grande (1672-1725) e all’Illuminismo. L’emancipazione dei servi della gleba decisa nel 1861, e la riforma agraria che l’aveva accompagnata, non avevano soddisfatto le popolazioni delle campagne, coinvolte in una crescita demografica spettacolare, mentre un terzo delle terre rimaneva ancora nelle mani dei grandi proprietari terrieri.
La gioventù studentesca, pronta a mobilitarsi contro un sistema giudicato ingiusto, oltre che anacronistico, viene a questo punto tentata dal “populismo”, che Turgenev identificherà poi come “nichilismo”. Nel 1862 uno studente di 19 anni, Petr Grigorevic Zaicnevskij, pubblica un Proclama alla giovane Russia con cui chiama il popolo a una «conquista del potere attraverso la violenza (e a) spargere fiotti di sangue». Egli vuole sterminare la famiglia imperiale e le aristocrazie dirigenti, ivi comprese quelle che sono tentate da un riformismo di tipo “occidentale”: «In una fiducia totale in noi stessi e nelle nostre forze, con il sostegno del popolo, credendo nell’avvenire glorioso della Russia, noi lanceremo il nostro grido di battaglia. Alle vostre asce… Uccideteli nelle piazze se questi porci osano mostrarsi in pubblico, uccideteli nelle loro dimore, nelle strade delle città, uccideteli anche nei villaggi! Ricordatevi che chiunque non è con noi è contro di noi e che tutti i nemici devono essere sterminati!». La ribellione di una parte della gioventù studentesca rimaneva tuttavia sotto controllo, nella misura in cui veniva a mancare di una dottrina coerente. I fondatori del populismo e del nichilismo (Nikolaj Gavrilovic Cernysevskij, Nikolaj Aleksandrovic Dobroljubov e Dmitrij Ivanovic Pisarev) forniranno la sovrastruttura dottrinale a questo progetto.
La società esistente deve scomparire
Nikolaj Gavrilovic Cernysevskij, figlio di un pope di provincia, si ispirava al materialismo occidentale. Arrestato nel 1862, quindi deportato in Siberia, vi passerà vent’anni. Egli era il fautore dell’alleanza degli intellettuali rivoluzionari e della masse contadine, insieme investite di una missione redentrice per impedire alla Russia di cedere all’occidentalizzazione e al capitalismo. Autore di un romanzo scritto in prigione, intitolato Che fare?, egli vi descrive l’uomo nuovo dedito anima e corpo alla rivoluzione. Il suo eroe, Salavat Rechmetov, rappresenta il modello dei rivoluzionari russi della fine del secolo, quelli che Fedor Dostoevskij presenta in I demoni e ai quali faranno eco più tardi I giusti di Albert Camus.
Uno dei discepoli di Cernysevskij, Nikolaj Aleksandrovic Dobroljubov, conduceva una vita ascetica e propugnava la nazionalizzazione dei mezzi di produzione. Il pubblicista Dmitrij Ivanovic Pisarev voleva invece sacrificare la società esistente in vista dell’avvento di un mondo nuovo che avrebbe garantito la felicità a venire di tutta l’umanità.
Ed è proprio per rendere conto di tali pensieri che Turgenev inventa, nel suo romanzo Padri e figli, il termine di “nichilisti”. Il termine identifica i diversi fautori della politica della “tabula rasa”, che implicava la distruzione totale della società come condizione necessaria all’avvento di un futuro radioso, sulla base della fiducia assoluta nelle virtù del popolo. Questo credo, in cui il filosofo Nikolaj Aleksandrovic Berdjaev ha individuato una natura quasi religiosa, doveva incitare i militanti ad accettare il sacrificio della vita, ma legittimava anche il ricorso alle più estreme violenze se esse si fossero rivelate necessarie per farla finita con un mondo assimilato al Male assoluto.
La ricerca della giustizia giustifica il massacro
In questo contesto ideologico si costituiranno in Russia, nella seconda metà dell’Ottocento, i primi gruppi rivoluzionari clandestini che adotteranno il terrorismo come loro modalità d’azione. Zemlia i Volia (Terra e Libertà) o l’Organizzazione, un altro gruppo deciso a ricorrere all’azione violenta, aprono la via dei rivoluzionari russi. I loro militanti sono convinti che azioni spettacolari e brutali saranno capaci di smuovere dal loro torpore le masse contadine. Nell’aprile del 1866 lo studente Dmitrij Vladimirovic Karakozov spara sullo zar e viene condannato a morte. Il tentato regicidio avviene dopo la delusione procurata dall’abolizione della servitù della gleba. L’omicidio politico viene sdoganato. Dal suo esilio svizzero, Mikhail Alexandrovic Bakunin propugna la sollevazione delle masse contadine per distruggere lo Stato e la società borghese.
Autore nel 1868 di un Catechismo del rivoluzionario, Sergej Gennadievic Necaev diventa il profeta «di una distruzione tanto terribile quanto impietosa, indispensabile per la felicità del popolo». Ed è proprio per lottare senza quartiere contro la società che egli chiama a raccolta i militanti rivoluzionari, organizzati in una società segreta di stampo militare: «Il rivoluzionario non ha nulla di personale, né interessi, né proprietà, neanche un nome. Tutto in lui viene assorbito da una sola idea, una sola passione: la rivoluzione». Tutto ciò che può servire al fine ultimo è legittimo, fosse anche al prezzo di enormi massacri. Una convinzione che condividerà Vladimir Iljc Uljanov detto Lenin una quarantina di anni dopo.
A differenza dei suoi predecessori, Petr Nikitic Tkacev respinge l’idea che il mugik, mobilitato dai militanti rivoluzionari possa essere l’artefice della rivoluzione futura. Egli fa affidamento su “una minoranza attiva”, capace di impadronirsi del potere per mezzo del terrore e di imporre con la forza la trasformazione politica e sociale necessaria. All’epoca non verrà ascoltato, in quanto gli studenti rivoluzionari, ispirati dal populismo, si orienteranno soprattutto verso i contadini nella speranza di educarli e mobilitarli… con risultati deludenti, a causa soprattutto dell’immenso fossato culturale che separava questi militanti idealisti dalle masse rimaste analfabete e legate alle tradizioni.
Uccidere lo zar
I militanti che prendono il testimone di questa generazione si orientano allora verso l’azione diretta. Gli attentati contro funzionari e poliziotti si moltiplicano ed è così che nel 1878 la giovane Vera Ivanovna Zasulic, destinata a diventare più tardi una figura emblematica del movimento rivoluzionario, ferisce gravemente il prefetto di polizia di San Pietroburgo. Georgij Valentinovič Plechanov, all’epoca capo populista – più tardi fondatore a Ginevra (1883) di Emancipazione del Lavoro, il primo circolo marxista russo – condannerà in quel momento il ricorso alla violenza. Ma questo non sarà sufficiente a moderare gli elementi più radicali, riuniti nel gruppo Narodana Volja (Volontà del popolo) che nell’agosto 1879 decidono di attentare alla vita dello zar Alessandro II. I fautori di questa decisione sono Andrej Ivanovic Zeljabov, che afferma di essere diventato terrorista per «fede nell’insegnamento del Cristo» e Sof’ja L’vovna Perovskaja, la figlia di un generale. Nell’aprile di quell’anno l’istitutore e filosofo Vladimir Sergeevic Solov’ev aveva sparato senza successo sullo zar. A novembre un’esplosione prende di mira il treno imperiale. Nel febbraio del 1880 i congiurati del Narodna Volja fanno saltare la sala da pranzo del palazzo d’inverno a San Pietroburgo.
La polizia è sul chi vive e cerca di neutralizzare la minaccia. Ma un anno più tardi i rivoluzionari raggiungono il loro scopo. Tre dei congiurati vengono impiccati il 1° maggio seguente e i loro complici, identificati, vengono spediti in Siberia.
Nel momento in cui il defunto sovrano si apprestava a introdurre un sistema parlamentare, il successore, Alessandro III Romanov, rifiuta di proseguire su una strada che potrebbe apparire come una manifestazione di debolezza. Alessandro III mette in atto una politica autoritaria e una repressione senza quartiere si abbatte sui terroristi.
I socialisti rivoluzionari rilanciano il terrorismo
I gruppi terroristi riprendono l’attività nei primi anni del nuovo secolo, quando si ha la creazione del Partito Socialista Rivoluzionario, nato dalla riunione di diversi gruppi clandestini. Il partito dà la priorità all’azione legale, mentre il ricorso al terrorismo è frutto della mobilitazione della gioventù studentesca ribelle. I “distaccamenti di combattimento” del partito socialista rivoluzionario – che si saprà poi essere diretti da un certo Evno Fiselevic Azef, agente segreto e informatore di polizia – riprendono i metodi degli assassini politici. Nel 1901 si apre un nuovo ciclo di violenze con l’assassinio del ministro dell’istruzione pubblica Nikolay Bogolepov. Nel 1902 viene assassinato il ministro dell’interno Dmitrij Sergeevic Sipjagin, ucciso dall’ebreo Stepan Balmashov. Nel 1904 cade sotto i colpi di Egor Sergeevic Sozonov un altro ministro degli interni, Vjaceslav Konstantinovic Pleve. A una analoga sorte va incontro il granduca Sergej Aleksandrovic Romanov, ucciso da Ivan Kaljaev nel febbraio 1905.
Nell’autunno del 1906 – un anno dopo la rivoluzione fallita del 1905 – un attentato con esplosivo distrugge la residenza del primo ministro Petr Arkad’evic Stolypin, i cui progetti politici costituivano la migliore occasione riformista per la Russia. Il ministro sottopone gli ambienti collegati al terrorismo a una metodica repressione, ma tutto ciò non impedirà il suo assassinio a Kiev il 14 settembre 1911.
Dal suo esilio, Lenin condanna gli assassini mirati messi a segno dai socialisti rivoluzionari. Ma una volta avviata la Rivoluzione d’Ottobre i bolscevichi faranno largo uso del terrore di massa, dimostrandosi gli eredi moderni dei populisti e di nichilisti del secolo precedente. I sogni dei fautori della “tabula rasa” si stavano realizzando.
Per saperne di più
Karl Löwith, Il nichilismo europeo, Laterza, Roma-Bari 1999
Franco Venturi, Il populismo russo, Einaudi, Torino 1952
Hans Rogger, La Russia pre-rivoluzionaria 1881-1917, il Mulino, Bologna 1992
Franco Volpi, Il nichilismo, Laterza, Roma-Bari 200