LA GUERRA INFINITA DI ROMA CONTRO I PARTI
di Max Trimurti -
Per circa 300 anni i Romani hanno cercato di imporsi in Mesopotamia a danno dell’impero dei Parti. Tutti i loro tentativi per consolidare una presenza durevole sono però falliti.
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Agli inizi dell’anno 116 l’imperatore Traiano discende il fiume Eufrate su uno dei vascelli della flotta romana che trasporta un importante contingente militare. L’obiettivo della spedizione è quello di strappare la Mesopotamia all’impero rivale dei Parti e assumere il pieno controllo delle vie commerciali che collegano il Mediterraneo a India e Cina. Mai, sino a quel momento, un esercito romano si era avventurato così lontano. Ciò nonostante, questo fatto non preoccupa più di tanto le truppe, poiché ogni condizione appare favorevole alla vittoria.
In effetti Roma poteva contare sull’appoggio di diverse comunità alleate, dai principati del Mar Nero ai beduini del deserto. Le casse imperiali erano floride, in quanto la recente conquista della Dacia aveva consentito il controllo sulle miniere d’oro e d’argento dei Carpazi, mentre la dinastia parte degli Arsacidi risultava in preda a una profonda crisi politica: due rivali (Osroe I, sovrano dal 109 al 129 e Vologese III, sovrano dal 105 al 147) si stavano disputando il potere assoluto.
L’inizio della campagna orientale conforta le speranze di Traiano: fra il 114 e il 115, le legioni romane occupano l’Armenia e la Mesopotamia del nord, inglobandole nel sistema provinciale romano. Questi territori erano stati, a lungo, oggetto di disputa fra Roma e i Parti, ma fino a quel momento, allorché i secondi avevano avuto il sopravvento, i primi avevano preferito il controllo indiretto della regione per mezzo di re o potentati più o meno “amici”.
Questa politica, introdotta sotto la repubblica, era stata seguita sino all’epoca dell’imperatore Nerone, ma, in seguito, a partire dai suoi successori della dinastia dei Flavi (69-96 d.C.) si afferma una nuova tendenza: Roma cerca di imporre i propri governatori in tutti i territori conquistati.
Obiettivo Ctesifonte
Il cambiamento di politica diviene radicale per impulso del bellicista Traiano. L’imperatore, proveniente da una famiglia provinciale spagnola, prima di diventare princeps aveva percorso i gradini del suo apprendistato privilegiando le cariche militari: giovane ufficiale, comandante di legione, governatore nelle province “agitate”. Egli evidenziava il perfetto profilo del vir militaris. Traiano, quando sale al trono nell’anno 98 sviluppa una politica aggressiva che non si limita più ad assicurare la solidità delle frontiere, ma sceglie di riprendere l’antico progetto dell’invasione della Mesopotamia.
In effetti, già sotto la Repubblica, nel 54-53 a.C., Roma aveva tentato di conquistare la regione impiegando una forza di 50 mila legionari romani, ausiliari e alleati orientali. In occasione di una prima campagna, i romani, guidati da Marco Licinio Crasso, il ricchissimo associato politico di Caio Giulio Cesare e Gneo Pompeo Magno avevano occupato una parte del territorio nemico al di là della frontiera. Ma quando Crasso scatena l’offensiva verso il basso Eufrate, il suo esercito viene bloccato nei pressi della città di Carre (oggi Harran, in Turchia). Il 9 giugno del’anno 53, al termine di una lunga battaglia, ventimila romani vengono massacrati sul campo. Molti altri moriranno a seguito delle ferite e altri ancora verranno catturati e deportati in regioni lontane, all’interno dell’impero partico. Qualche giorno più tardi, nel corso di una scaramuccia, lo stesso Crasso perde la vita in combattimento. Tuttavia, la sconfitta di Carre, una delle più cocenti disfatte nella storia di Roma, non scoraggerà le ambizioni romane. Al contrario: questa disfatta costituirà il punto di partenza di una situazione conflittuale cronica, una vera “guerra senza fine” fra Roma e la Persia.
Nove anni dopo Carre, Giulio Cesare, dopo aver ottenuto il potere assoluto a Roma, era già pronto a lanciare una campagna di grande respiro, con il progetto di vendicare Crasso e di conquistare l’impero partico, ma verrà assassinato tre giorni prima della partenza per l’Oriente, fissata per il 18 marzo dell’anno 44. L’obiettivo di Cesare viene ripreso da Marco Antonio nell’anno 36, ma senza successo. Sotto gli imperatori successori di Ottaviano Augusto, nel I secolo, le operazioni militari si svilupperanno su altri fronti, specialmente in Armenia: il progetto di attaccare il cuore dell’impero partico non sembrava più attuale e i progetti di Crasso e di Cesare apparivano dei sogni gloriosi piuttosto chimerici.
Dal suo arrivo al potere nell’anno 98, Traiano riprende pertanto il vecchio piano di invasione della Mesopotamia. La campagna orientale viene preparata con molta cura. A tal fine era stato mobilitato un contingente senza precedenti: nove legioni quasi al completo, con ingenti rinforzi distaccati da altre legioni, per un totale di ottantamila uomini. Inoltre, Traiano fa spiegare per l’occasione una formidabile organizzazione di propaganda. Nel momento in cui viene lanciata la campagna orientale, Plutarco racconta in dettaglio, nella Vite parallele, le sconfitte di Crasso e di Marco Antonio per mettere meglio in risalto il valore morale dell’impresa di Traiano. D’altronde, l’imperatore non si limita al confronto con i suoi sfortunati predecessori: egli segue anche il modello dei grandi eroi del passato, come Alessandro Magno.
I comandanti romani che partono per l’Oriente fanno sistematicamente riferimento al macedone, che, in pochi anni, aveva distrutto il grande impero dei persiani. La lunga serie dei successi di Alessandro in Oriente era giustamente cominciata nell’anno 331 con l’occupazione della Mesopotamia, quando il macedone, dopo una serie di vittorie in Asia Minore e in Assiria, aveva fatto il suo ingresso trionfale a Babilonia.
Allo stesso modo dei suoi predecessori, Traiano si presenta come un nuovo Alessandro: non solo come conquistatore, ma anche come paladino della libertà. Nelle Vite parallele Plutarco crede, o perlomeno lascia credere, che le comunità greche o ellenizzate che risiedevano nelle città da Nisibis al golfo persico, guardassero ai Romani come a dei liberatori. Traiano, come i suoi predecessori, aveva concepito il suo piano ispirandosi all’itinerario di Alessandro, con la sola variante dell’obbiettivo: non si trattava più di occupare Babilonia – all’epoca città in piena decadenza – ma Ctesifonte.
In origine, Ctesifonte (Tyspun in lingua partica) era un agglomerato urbano nei pressi di Seleucia sul fiume Tigri: si trattava dunque del centro più importante della Mesopotamia ellenistica. Quando i Parti procedettero all’occupazione definitiva della regione, nel corso degli anni Dieci del primo secolo a.C., essi ne faranno la loro residenza d’inverno a causa del clima favorevole e della posizione geografica.
Sulla via della seta
Ctesifonte e Seleucia, sul fiume Tigri, rappresentavano il punto di partenza delle due principali vie del commercio verso l’India e la Cina: la rotta dell’est detta anche della “seta” e l’altra rotta che, da sud, raggiungeva il golfo Persico e l’Oceano Indiano. Per i mercanti mediterranei, Seleucia e Ctesifonte costituivano due tappe obbligatorie. Verso l’anno 39 il sovrano partico Pacorus I favorisce la crescita della città e, a partire dalla prima metà del I secolo, la vecchia borgata diventa una città, cinta da bastioni.
E’ proprio a Ctesifonte che si svolgeranno cerimonie importanti, come l’incoronazione dei re. La presenza di una importante guarnigione militare conferiva alla città una connotazione più “orientale” della metropoli ellenistica di Seleucia.
Per raggiungere la capitale dei Parti, Traiano non si limita a seguire la strategia di Alessandro: rispetto al macedone, i Romani del II secolo potevano disporre di importanti innovazioni tecniche. In primo luogo, i legionari di Traiano sfoggiavano un nuovo equipaggiamento, diverso da quello dei tempi di Crasso: la nuova corazza – la lorica segmentata – consentiva di proteggersi con maggiore efficacia dalle mortifere frecce dei temibili cavalieri parti.
Inoltre, l’imperatore poteva disporre di tecnici d’eccezione e, proprio per questa spedizione, egli aveva richiesto la presenza del suo migliore architetto, Apollodoro da Damasco, autore di grandi opere di ingegneria civile e militare (come il nuovo porto di Ostia). Nel 104, durante la guerra contro i daci, Apollodoro aveva costruito un ponte in pietra di proporzioni inaudite sul Danubio. L’architetto siriano, perciò conoscitore della regione, era parimenti uno specialista di “poliorcetica”, vale a dire l’arte di assediare le città, alla quale aveva dedicato uno specifico trattato in greco.
E’ proprio a tecnici del livello di Apollodoro che Traiano, a un certo momento, chiede di rimettere in funzione un vecchio canale, detto nahr malka (“fiume del re”, in aramaico), che attraversava la media Mesopotamia, collegando il Tigri all’Eufrate. Secondo lo storico romano Dione Cassio: «Traiano sognava di derivare l’Eufrate nel Tigri, attraverso un canale che, dopo il passaggio delle navi, gli consentisse di costruire un ponte; ma venuto a sapere che l’Eufrate risultava molto più elevato di quota del Tigri, egli rinuncia al progetto, nel timore che l’Eufrate non fosse più navigabile dopo la derivazione. Per questo motivo egli farà dunque trasportare le navi, utilizzando dei tiranti nel punto di minore distanza fra i due fiumi…».
La flotta romana discende dunque l’Eufrate fino all’altezza della vecchia città di Sippar, quindi le navi vengono trasportate fino al Tigri all’altezza del vecchio centro di potere dell’impero partico: Ctesifonte. Verso la fine della primavera dell’anno 116, o un anno più tardi in estate, Traiano fa il suo ingresso nella città, dove re Cosroe, costretto alla fuga, abbandona tutte le sue ricchezze. I Romani vi cattureranno diversi personaggi di alto rango, ivi compresa una figlia del re, e anche il trono reale in oro massiccio.
Acclamato Imperator (generale vittorioso) dalle truppe, Traiano si attribuisce il titolo di Parthicus (vincitore dei Parti) e farà circolare un nuovo conio con la dicitura Parhia capta (Partia conquistata). Egli ipotizza anche la possibilità di creare una provincia romana che riunisca tutta le Mesopotamia, e con tale intento decide di prendere possesso della totalità del paese, raggiungendo il regno di Mesene (territorio dell’attuale Bassora) e il Golfo Persico.
«Avendo avanzato da lì sino all’Oceano e informatosi della natura di questo mare, alla vista di un vascello in rotta per l’India, l’imperatore avrebbe esclamato: “Io sarei andato fino agli Indiani, se fossi ancora giovane”. Egli pensava agli Indiani, raccoglieva informazioni sui commerci di questi popoli e vantava la fortuna di Alessandro Magno. Ciò nondimeno, egli era convinto di aver spinto più lontano di lui il suo esercito e ne ha scritto anche al Senato, sebbene non sia stato in grado di mantenere le sue proprie conquiste». Sebbene amara, l’osservazione di Dione Cassio corrisponde a verità. Certamente, Traiano si era ispirato al modello di Alessandro, ma non aveva conseguito gli stessi risultati: egli non era riuscito a deporre Cosroe, che, tra l’altro, non aveva mai battuto in battaglia. Inoltre, la sua conquista della Mesopotamia si è rivelata effimera: già a partire dalla fine del 116, Traiano è costretto a incaricare uno dei suoi migliori generali, il berbero Lusio Quieto, della repressione della rivolta degli Ebrei in Palestina, distaccando in tal modo un certo numero di unità dalla regione, mentre diverse rivolte scoppiavano in tutta la Mesopotamia.
Questi eventi fanno rimandare di un anno il progetto di una occupazione diretta della Mesopotamia e Traiano viene costretto a ricorrere alla tradizionale soluzione romana: far salire sul trono dei Parti un “re amico”, Parthamaspate, un figlio di Osroe, che aveva finito per collaborare con i Romani. In seguito, l’imperatore si dirige verso nord dove sarà occupato per qualche mese dall’assedio della ricca città carovaniera di Hatra, che non riuscirà a conquistare.
Nel frattempo, i Parti avevano ritrovato la loro unità politica e cacciato i Romani dall’Armenia. Secondo fonti arabe tardive, dipendenti dalla tradizione persiana, Traiano sarebbe stato ucciso dal re. Si tratta evidentemente di una leggenda, ma la tradizione orientale non era poi così lontana dalla realtà storica: spossato dopo tanti anni passati sul campo di battaglia, il sessantenne Traiano si ammala e muore nel 117 a Selinunte di Cilicia, un piccolo porto dell’Asia Minore, mentre rientrava a Roma per celebrare il suo trionfo.
Esaminando la campagna di Traiano, al di fuori dei filtri della propaganda romana, si comprende come il bilancio finale non sia stato per nulla positivo. D’altronde, cinquant’anni più tardi, l’autore latino Frontone poteva già scrivere: «Unici fra gli uomini, i parti sono stati considerati dal popolo romano come avversari di tutto rispetto. Questo rispetto è ampiamente dimostrato, non solo dalla sconfitta di Crasso e dalla fuga disonorata di Antonio, ma anche dalla morte di un legato durante la spedizione di Traiano. Quest’ultimo, che era comunque un valoroso generale, quando lascerà il paese per celebrare il suo trionfo, sarà costretto a ripiegare in circostanze di grave pericolo e non senza spargimento di sangue».
Certamente, fra gli anni 115 e 116, l’impero romano aveva raggiunto l’apice della sua espansione ed è innegabile che un avvenimento come la conquista di Ctesifonte e l’arrivo di un imperatore romano sulle rive del Golfo Persico sia stato un fatto di grande rilievo. Nei manuali di storia antica, la carta delle province all’apogeo dell’impero è sempre quella che include la Mesopotamia conquistata da Traiano. Purtroppo, si è trattato di un successo effimero e la vicenda mesopotamica arriva, ancora una volta, a confermare il fatto che l’esercito romano era in condizioni di conquistare facilmente le nazioni straniere ma che faticava a consolidarvi il proprio dominio.
Dopo la morte di Traiano, i Romani si sono avventurati ancora volentieri fino a Ctesifonte. Lucio Celonio Commodo sarà, tuttavia, costretto ancora una volta a fuggire dopo il manifestarsi di una epidemia di vaiolo nella regione. Settimio Severo, da parte sua, riuscirà nuovamente a conquistarla, nell’anno 197, evento che gli consentirà di attribuirsi il titolo di Parthicus maximus, un riferimento chiaro al titolo di Parthicus di Traiano. L’imperatore darà l’ordine di esporre delle pitture, rappresentanti le sue vittorie orientali; suo figlio e suo successore, Caracalla, farà costruire un portico a nome di suo padre, dove verranno queste scene verranno riprodotte.
Le conquiste di Ctesifonte hanno indebolito l’impero dei Parti, favorendo la comparsa di una nuova dinastia, quella dei persiani Sassanidi, che assumerà definitivamente il potere nel 224. La guerra senza fine fra Persia e Roma riprende e i Romani riusciranno a conquistare nuovamente Ctesifonte, nel 283, con la campagna dell’imperatore Marco Aurelio Caro. Dopo quest’ultima invasione, il dispositivo difensivo della città sassanide riuscirà ad assicurare la difesa contro le invasioni romane e bizantine.
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Per saperne di più
M. Colledge, L’impero dei Parti – Newton Compton, Roma 1979.
J. Wiesehöfer, La Persia antica – il Mulino, Bologna 2003.
D. Kennedy, Parthia and Rome: eastern perspectives, in “The Roman Army in the East”, Ann Arbor, Cushing Malloy Inc., Journal of Roman Archaeology: Supplementary Series Number Eighteen, 1996.
R. M. Sheldon, Rome’s Wars in Parthia: Blood in the Sand – Vallentine Mitchell, Londra, 2010.