LO SCONTRO TRA NAPOLEONE E PAPA PIO VII
di Massimo Iacopi -
Nonostante la sua indifferenza in materia religiosa Napoleone desidera un accordo con il pontefice per pacificare la Francia. Il Concordato del 1801 è il primo passo, ma non pone fine ai contrasti. Nel 1806, infatti, il conflitto si riaccende…
Il 29 agosto 1799 papa Pio VI muore in prigionia a Valence. Il potere temporale dei papi è stato abolito ed a Roma, il 15 febbraio 1798, è stata proclamata la Repubblica Romana da parte delle truppe francesi, che hanno invaso lo Stato Pontificio. Le feste civiche soppiantano ormai le cerimonie religiose, gli alberi della libertà sostituiscono le croci e i calvari, e le opere d’arte delle chiese prendono la strada di Parigi. Roma non è più “cristiana” e “l’ultimo papa” è appena morto. La Rivoluzione francese ha spazzato il potere pontificio che aveva resistito a numerose crisi. Ma il vento sembra cambiare direzione: la Repubblica Romana non resiste agli assalti dei Napoletani, anch’essi liberati dalla soggezione ai Francesi, e questi ultimi, dopo il disastro di Novi del 15 agosto 1799, dove viene ucciso il generale Barthelemy Joubert, vengono scacciati dalla maggior parte dell’Italia. Un conclave si riunisce a Venezia, nel convento di San Giorgio, sotto la protezione dell’Austria. Il 14 marzo 1800 i cardinali che si sono potuti riunire eleggono Barnaba Chiaramonti, che assume il nome di Pio VII per affermare la continuità del potere pontificio.
Barnaba Chiaramonti, vecchio monaco benedettino, diventato vescovo di Imola e quindi cardinale, si è opposto alle truppe francesi del generale Pierre François Charles Augerau, duca di Castiglione e quindi all’annessione della sua diocesi alla Repubblica Cisalpina di Milano, creata da Napoleone Bonaparte. In una omelia del Natale del 1797 egli spiega che il regime democratico non è contrario agli insegnamenti del Vangelo, ma non può fare a meno della religione.
Dopo aver fatto il suo ingresso a Roma, ancora occupata dalle truppe napoletane, Pio VII prende coscienza di quanto l’intransigenza del suo predecessore è stata disastrosa per la Chiesa. Egli è pronto a fare delle concessioni ma, per aprire dei negoziati con la Francia, gli occorre una controparte. Fortunatamente, la situazione a Parigi era evoluta alla fine del 1799 e attraverso il colpo di stato del 18 Brumaio Napoleone era diventato Primo Console.
Bonaparte non condivide il fanatismo anti religioso che animava un personaggio come Louis Marie de La Revelliere-Lepeaux nel Direttorio e ha sempre preso le distanze dalla politica di scristianizzazione condotta sotto il Terrore. Un vago deismo, ispirato a Rousseau fa da fondo alle sue convinzioni religiose. Il suo maggior interesse in quel momento è quello di pacificare la Francia. Lo scisma fra preti che hanno giurato e preti refrattari, nato dalla costituzione civile del clero, che voleva dare alla Chiesa di Francia una nuova costituzione senza preoccuparsi dell’accordo del papa, la Guerra della Vandea quindi la separazione fra Stato e Chiesa nel 1795, che completa la rovina di un clero i cui beni erano stati nazionalizzati, non potevano che lasciare tracce profonde.
Appena Pio VII viene eletto papa, Napoleone si sente abbastanza forte per iniziare dei negoziati con la Santa Sede. Egli ha capito – al contrario dei Costituenti – che nulla di durevole può essere realizzato senza il papa.
Certamente, non si tratta di “rievangelizzare” la Francia, ma di pacificarla, togliendo ai controrivoluzionari l’arma della religione, particolarmente efficace in Vandea. Ben lungi dal separarsi dalla Chiesa, lo Stato deve, al contrario, associarsi ad essa. “Il buon ordine e la sicurezza politica non permettono che si abbandonino le istituzioni della Chiesa a sé stessa”.
Occorre quindi privilegiare il cattolicesimo? Indubbiamente esso ha meglio resistito del protestantesimo, anch’esso colpito dalla politica di scristianizzazione. Ma ci sono gli atei dell’Istituto, i famosi ideologi che prendono le mosse dall’Illuminismo, che sono decisamente ostili a una restaurazione religiosa. Una restaurazione che non desidera né Charles Maurice de Talleyrand Perigord, vescovo spretato, all’epoca Ministro degli Affari esteri, né Joseph Fouché, Ministro della Polizia e vate della scristianizzazione nella regione della Nievre. Coloro che avevano acquisito i beni nazionali – i beni venduti sotto la Rivoluzione – sono preoccupati e inquieti: potrebbero doverli restituire. Infine, l’esercito, i cui quadri provengono dalla Rivoluzione, ringhia in maniera ostile ai fautori della Chiesa.
Bonaparte passa oltre. Contro l’Inghilterra egli ha bisogno di avere dalla sua parte l’opinione dei Belgi e dei Renani, ma anche degli Spagnoli e degli Italiani, rimasti cattolici. L’alleanza con il papa diventa, pertanto, indispensabile.
I negoziati hanno inizio dopo la vittoria di Marengo. La Curia dà il suo accordo all’invio di monsignor Giuseppe Maria Spina a Parigi. Ma essa chiede che il cattolicesimo sia dichiarato religione di Stato e comunque perlomeno religione dominante. Per quanto riguarda i beni della Chiesa venduti come beni nazionali, il papa non reclama la loro restituzione, ma ne esige un indennizzo. Infine il Pio VII non intende abbandonare i vescovi che sono rimasti fedeli a Roma. Come segno di fermezza, il cardinale Ercole Consalvi, Segretario di Stato si reca di persona a Parigi e si trova di fronte l’abate, poi vescovo, Etienne Alexandre Bernier, pacificatore della Vandea, dove era stato commissario generale degli eserciti degli insorti.
L’abate, abile diplomatico, riesce ad ammorbidire la posizione del papa e il risultato sarà il Concordato, che il pontefice accetta di firmare il 15 agosto 1801. Il cattolicesimo viene riconosciuto come la religione della grande maggioranza dei Francesi e una nuova organizzazione viene data alle diocesi, dove il Primo console nomina i vescovi, mentre il papa accorda loro l’investitura canonica. Vescovi e curati prestano giuramento di fedeltà al governo ed in cambio ricevono un sostentamento.
A Parigi, le reticenze sono numerose, all’Institut come tra i militari. Il Senato arriva persino a cooptare l’abate Baptiste Henri Gregoire, il vecchio vescovo costituzionale che aveva criticato il Concordato. Bonaparte, forte di questa opposizione, modifica unilateralmente lo spirito del Concordato aggiungendovi, senza averne preliminarmente discusso col papa, gli articoli organici. Roma non può proclamare alcuna Bolla né inviare in Francia alcun Legato senza l’accordo del governo francese. Il clero sarà dipendente dallo Stato e indipendente dal papa. Parallelamente, viene assegnata una nuova organizzazione ai Protestanti.
Come poteva il papa non essere preoccupato, nonostante la restaurazione del culto?
Napoleone, diventato Imperatore, invita Pio VII a recarsi a Parigi per la cerimonia dell’incoronazione. Egli si riallaccia alla tradizione di Carlo Magno e rinforza la sua legittimità di fronte a Luigi XVIII che non è stato incoronato.
Nella speranza di concessioni da parte di Napoleone sugli articoli organici, Pio VII accetta di recarsi nella Capitale dell’Impero, ma rimane fermo sui principi: quando Giuseppina gli spiega che è sposata solo civilmente con Napoleone, egli esige che il matrimonio religioso sia celebrato nella notte precedente l’incoronazione, incoronazione in cui il suo ruolo resta limitato.
Per contro, il papa non ottiene alcun ammorbidimento degli articoli organici. Si tratta del trionfo del gallicanesimo. L’autorità di Napoleone è senza condivisioni su un clero che in ogni caso si dimostra docile.
Sarà per un’altra ragione che scoppierà il conflitto fra il papa e l’imperatore. Napoleone vuole far entrare lo Stato della Chiesa nel suo sistema di blocco continentale al commercio inglese, ma il papa desidera rimanere neutrale, scatenando la collera di Napoleone. Il litigio si incentra sulla sovranità dello Stato della Chiesa. L’Imperatore scrive al Pio VII, il 13 febbraio 1806: “Vostra Santità è sovrano di Roma, ma io sono l’Imperatore, tutti i miei fastidi debbono essere anche i Suoi”. E poi, il re di Inghilterra non è forse uno scismatico?
Il 21 marzo seguente Pio VII replica in questo modo: “Noi rispondiamo con franchezza apostolica che il Santo Padre non riconosce e non ha mai riconosciuto nei suoi stati alcuna potenza superiore alla sua e che nessun imperatore può accampare diritti su Roma”.
Il 21 gennaio 1808, il generale Sextius Alexandre François de Miollis riceve l’ordine di occupare Roma e gli Stati della Chiesa. Il 17 maggio Napoleone proclama la loro riunione alla Francia. La bandiera francese viene issata su Castel Sant’Angelo, come ai tempi della Repubblica Romana.
Pio VII, anche se distaccato da contingenze materiali, non può rinunciare ai territori ereditati, che sono garanti dell’indipendenza politica del Papato. Il 10 giugno 1809 il pontefice scomunica Napoleone, senza designarlo per nome. La reazione di quest’ultimo non si fa attendere e il 20 giugno scrive: “Io ricevo la notizia che il papa mi ha scomunicato, si tratta di un pazzo furioso che occorre rinchiudere”.
La formula viene forse presa alla lettera dal generale Etienne Radet, che comanda la gendarmeria nella Città Eterna. Egli invade il Quirinale nella notte dal 5 al 6 luglio e a Pio VII viene intimato di rinunciare alla sua sovranità temporale. A seguito del suo rifiuto viene condotto fuori di Roma insieme al cardinale Bartolomeo Pacca. Quest’ultimo sarà detenuto nella Fortezza di Fenestrelle dal 1809 al 1813.
Pio VII viene condotto a Firenze, quindi a Grenoble e infine a Savona, dopo una serie di ordini e di contrordini che evidenziano l’imbarazzo di Napoleone.
Pio VII resterà a Savona dal 6 luglio 1809 al 9 giugno 1811. Nonostante alcune attenzioni, egli si comporta come un prigioniero, ma non si piega nell’animo. Utilizza l’arma imprudentemente fornitagli dal Concordato: l’investitura canonica. Egli la rifiuta ai vescovi nominati da Napoleone, fatto che disorganizza, a poco a poco, la vita delle diocesi, specialmente a Parigi. Egli rifiuta altresì di annullare il matrimonio religioso di Napoleone con Giuseppina.
Tuttavia, l’opinione pubblica rimane indifferente e poco emozionata dall’arresto del papa. La scomunica di Napoleone, nonostante gli sforzi di una società segreta, i Cavalieri della Fede, non riesce a essere propagata. Napoleone, per uscire dal vicolo cieco convoca un Concilio Nazionale a Notre-Dame de Paris, che si risolve in un fallimento.
L’imperatore, che avrebbe desiderato insediare il papa nell’Ile de la Cité di Parigi, ordina il suo trasferimento a Fontainebleau. Sotto minacce, egli ottiene da Pio VII, spossato dalle continue prove, un nuovo Concordato, firmato il 25 gennaio 1813, con il quale viene messa fine alla questione delle investiture canoniche. Ma, contrariamente ai suoi impegni, Napoleone lo farà pubblicare sul “Monitore”. Pio VII reagisce ritornando sui suoi passi. A questo punto, stanco delle continue dispute, Napoleone rimanda il papa a Savona il 21 gennaio 1814 e quindi a Roma.
Pio VII ha vinto. Con le decisioni del Congresso di Vienna egli ritroverà i suoi Stati. Ma il Concordato del 1801 continuerà a essere applicato in Francia fino alla separazione fra Stato e Chiesa del 1905.
Per saperne di più
E. E. Y. Hales, Napoleon and the Pope, the story of Napoleon and Pius VII, Londra, 1962.
R. Anderson, Papa Pio VII: la vita, il regno e il conflitto con Napoleone nel periodo seguente alla Rivoluzione francese 1742-1823, Roma, 2000.