SCIENZIATI E GUERRA: UN LABORATORIO CHIMICO A BOLOGNA NEL 1918

di Maria Alessandra Risi –

 

Durante la Prima guerra mondiale il legame tra conflitto e scienza si fece sempre più stretto: la chimica divenne l’arma letale per eccellenza. A Bologna, il Laboratorio di Chimica Analitica dell’Ufficio Materiale Chimico di Guerra nacque per studiare gli agenti tossici provenienti dal fronte.

Esistono pochi dubbi sul fatto che la prima guerra mondiale abbia costituito un punto di svolta fondamentale all’interno dei complessi e ambivalenti rapporti tra scienziati e guerra. All’inizio del XX secolo la conoscenza scientifica e le applicazioni tecnologiche industriali avevano raggiunto un tale livello di sviluppo da entrare con prepotenza nel conflitto, andando ad intrecciarsi con la politica in un connubio che non si sarebbe più sciolto, mentre la guerra andava assumendo i tratti di una vera e propria impresa industriale moderna. Il ciclone e l’accelerazione causati dal conflitto provocarono, in particolare nel nostro paese, profonde modificazioni e svolte organizzative nell’impianto della ricerca scientifica, con conseguenze di lungo periodo. La nascita dell’attuale Consiglio Nazionale delle Ricerche ne costituisce un esempio eclatante (Tomassini 2011). Da un lato i prodotti della scienza entrarono nel vissuto quotidiano di milioni di militari e di civili, ma dall’altro la guerra aveva invaso la scienza, richiedendo ovunque una mobilitazione totalizzante. Vito Volterra nel 1922 dirà che “ogni lavoro scientifico collettivo era cessato, perché l’attività intellettuale era pressoché interamente rivolta a opere tecniche di guerra” (citato in Simili 1993, 121).
In questo studio verrà analizzato un microscopico frammento (Bloch 2004), in cui la scienza e la sua storia hanno incrociato la guerra e le sue conseguenze nella città di Bologna, durante il primo conflitto mondiale. E’ stato fatto un tentativo di lettura di un episodio specifico, usando una lente di ingrandimento il più possibile ampia e approfondita su di esso, riducendo la scala e circoscrivendo la prospettiva, a partire dal contesto più ampio in cui è collocata la vicenda.
Si tratta del Laboratorio di Chimica Analitica dell’Ufficio Materiale Chimico di Guerra (UMCG), attivo in locali dell’Università di Bologna, appositamente attrezzati e militarizzati, negli anni 1918-1919 e diretto dal prof. Pietro Spica (1854-1929), ordinario di Chimica Farmaceutica e Tossicologica all’Università di Padova. Il Laboratorio era finalizzato all’analisi e alla ricerca su materiale bellico tossico proveniente dal fronte. Come dirà lo stesso Spica si trattava principalmente di “liquidi speciali contenuti in proiettili nemici, destinati a produrre ambienti asfissianti, vescicatori, lagrimogeni, venefici”[1].

La guerra chimica

Dopo il primo attacco tedesco a sorpresa con i gas avvenuto ad Ypres nel 1915, e il cui artefice scientifico principale fu il chimico Fritz Haber (1868-1934), la tragica realtà della guerra chimica era balzata in primo piano all’attenzione di tutte le nazioni coinvolte nel conflitto. Da quel momento si trattò di una vera e propria rincorsa contro il tempo per riuscire a mettere in atto da un lato le misure difensive idonee contro le sostanze sempre più insidiose e tossiche che venivano man mano utilizzate in prima linea, e dall’altro per riuscire a produrre armi chimiche offensive altrettanto efficaci come contromisura d’attacco.
Fu una guerra che dovettero combattere insieme politici, militari, industriali e chimici (Guerraggio 2015). Dai primi attacchi aggressivi con nubi di cloro, troppo sensibili alle variabili ambientali (vento, umidità, calore), e dalle prime rudimentali difese con tamponi premuti sulla bocca, o con fuochi accesi per sollevare le nubi tossiche, si passò man mano ad armi chimiche che utilizzavano tecnologie e sostanze sempre più controllabili e letali, nonché maschere e dispositivi che dovevano essere efficaci contro una serie crescente di sostanze[2]. Ogni esercito dovette dotarsi di compagnie e truppe specifiche per la guerra chimica. Sia per gli attaccanti che per i difensori occorreva infine l’organizzazione a monte di produzioni industriali di sostanze e materiali su larga scala (Dall’Olio 2015). Furono testate diverse migliaia di sostanze tossiche, ma solo una cinquantina furono effettivamente utilizzate in combattimento, e una dozzina conseguì i risultati attesi. E’ interessante notare che si trattò sempre di sostanze già note, e a volte già utilizzate nell’industria tessile o dei fertilizzanti. Nessuna nuova molecola fu sintetizzata a scopo bellico (Seccia 2015). Nel tempo si passò dal cloro del 1915, al fosgene del 1916, poi alla cloropicrina (nitrocloroformio), alle arsine e all’yprite nel 1917. Ma nel 1918 comparve ancora il disfosgene, in un crescendo di aggressivi ad alta tossicità. Senza dubbio i protagonisti negativi di questa guerra furono il fosgene (cloruro di carbonile), in assoluto il gas più utilizzato nel conflitto, compresa l’Italia, e l’yprite (solfuro di β, β’- dicloroetile), o gas mostarda, utilizzato per la prima volta nel 1917 ancora ad Ypres, dall’odore caratteristico e dal terribile effetto vescicatorio su cute e muscose (Seccia 2005).
In questa rincorsa l’Italia si trovò svantaggiata rispetto agli alleati a causa dell’insufficiente sviluppo della propria industria, che mancava fra l’altro della necessaria integrazione con la ricerca scientifica (Greco 2016). Qualche anno dopo, il modernismo d’azione fascista avrebbe posto un forte accento sul progresso tecnologico e sulle scienze applicate, considerati veri strumenti di potenza politica.
In Italia nel 1915-1918 le operazioni di “guerra chimica” facevano riferimento ad un intricato sistema nazionale di commissioni e servizi a composizione mista scientifico/politico/militare, che aveva il compito di gestire la sperimentazione e la produzione di dispositivi bellici, sia di difesa che d’attacco. L’intero sistema venne riorganizzato più volte e rimase sostanzialmente fallimentare.
Referente scientifico principale fu, almeno fino all’estate 1918, il chimico Emanuele Paternò (1847-1935), da anni attivamente impegnato in politica e senatore del regno, il cui carattere autoritario ed impulsivo probabilmente non favorì l’integrazione complessiva del sistema. Come molti altri chimici italiani, Paternò all’inizio aveva manifestato riserve sull’intervento in guerra dell’Italia, ma, dal momento della dichiarazione di guerra, si trovò sempre in prima linea fra coloro che maggiormente contribuirono allo sforzo bellico (Calascibetta 2015). In modo simile, il chimico Giacomo Ciamician (1857-1922), in una lettera al matematico Vito Volterra dell’agosto 1914, aveva affermato che la scienza e gli scienziati dovevano ignorare le differenze nazionali, ripudiare il “nazionalismo estremo” e condannare la guerra come “un delitto contro la civiltà” (citato in Ciardi, Linguerri 2007, 35). Lo stesso Ciamician dirà invece in Consiglio Comunale a Bologna il 27 maggio 1915, dopo la dichiarazione di guerra: “Ciascuno faccia il sacrificio delle proprie passioni, ciascuno offra alla comune concordia la sua parte migliore(citato in Guerraggio 2015, 137).
Dal punto di vista della difesa contro gli attacchi chimici, il sistema italiano adottò in successione una serie di maschere antigas che si rivelarono quasi sempre tragicamente inefficaci perché non al passo con i tempi. Si andò dalla maschera iniziale Ciamician-Pesci, entrambi docenti dell’Università di Bologna, alla maschera polivalente di derivazione francese del 1916, simile alla precedente perché costituita da tamponi imbevuti di soluzioni neutralizzanti basiche, e quindi non adatta a difendersi da gas che nebulizzavano in goccioline; fino all’adozione definitiva degli Small Box Respirator (SBR) inglesi a filtro solido del 1918. Per tragica ironia della sorte questo tipo di protezione a filtri solidi era stato anticipato da un modello abbastanza simile ideato fin dal 1915 dal chimico Icilio Guareschi (1847-1918) e non adottato dalle autorità competenti italiane, che al suo posto preferirono invece le maschere Ciamician-Pesci (Giunta e Taccone 2007).
Dal punto di vista offensivo la produzione industriale italiana di sostanze tossiche, soprattutto quelle di recente elaborazione da parte di altri paesi, era pressoché ancora allo stadio iniziale quando la guerra ebbe termine (Dall’Olio 2015).

Il Laboratorio di Chimica Analitica dell’UMCG

Il Laboratorio di Chimica Analitica dell’Ufficio Materiale Chimico di Guerra (UMCG, poi diventato SMCG, Servizio Materiale Chimico di Guerra) costituisce una delle numerose intersezioni della Grande guerra con il contesto scientifico bolognese.
Le fonti principali utilizzate per lo studio dell’episodio sono state la relazione sulle attività del Laboratorio redatta da Spica nel 1921, e gli Annuari della Regia Università di Bologna per il periodo 1914-1929.
Il laboratorio chimico, emanazione della Commissione “per l’analisi dei gas usati dal nemico” della Giunta permanente creata dal neonato Ministero della Guerra, fu realizzato nella fase finale della guerra presso la Regia Università di Bologna, sotto la direzione del prof. Pietro Spica, ed aveva il compito di analizzare gas tossici e materiali esplosivi usati dal nemico, provenienti dal fronte. Fu operativo da gennaio 1918 ad agosto 1919, prima di essere chiuso definitivamente nell’autunno di quell’anno.
Ne abbiamo notizia dallo stesso Spica che nel 1921 aveva steso una relazione completa sulle attività del laboratorio, scrivendo in aperta polemica contro alcune pubblicazioni nazionali e internazionali scritte nei mesi precedenti. In particolare le prime righe del documento facevano esplicito riferimento a una relazione del Direttore Generale per l’Istruzione Superiore Giovanni Filippi, contenuta nel Bollettino del Ministero della Pubblica Istruzione[3] che, nel rendere conto al ministro di quanto era accaduto durante la guerra nelle Università e negli Istituti superiori italiani, aveva totalmente ignorato l’operato del Laboratorio bolognese, invece di “far rilevare … il reale contributo degli italiani nella guerra mondiale”[4].
Nello spazio di poco più di un mese erano stati adattati e militarizzati tre locali dell’Istituto di Chimica Farmaceutica dell’Università Bologna, afferente alla Scuola di Farmacia e situato allora in via Belmeloro N. 10-12 (odonomastica del tempo). Direttore dell’Istituto e rettore dell’Ateneo era stato Leone Pesci, fino alla sua morte improvvisa avvenuta in servizio nel 1917. Alla direzione dell’istituto fu sostituito solo dopo qualche anno, nel frattempo il direttore incaricato della struttura era l’aiuto Antonio Pieroni. Nella zona attigua all’Istituto di Chimica Farmaceutica era in corso di costruzione il nuovo grande edificio dell’Istituto Chimico, che ingloberà anche Chimica Farmaceutica e che verrà intitolato a Giacomo Ciamician alla sua morte nel 1922[5].
I materiali occorrenti per il nuovo laboratorio dell’UMCG (sostegni, apparecchi, vetri, porcellane, reagenti) furono presi in prestito dagli Istituti di Chimica Farmaceutica delle Università di Bologna e Padova, e puntualmente restituiti, per quanto possibile, al termine delle attività. A tutto quanto non si riuscì a trovare provvide la Direzione di Artiglieria di Bologna con acquisti diretti.
Spica non fornisce dettagli sulla sede del Laboratorio da lui diretto, a cui sappiamo che collaborarono sei ufficiali laureati in Chimica o in Chimica e Farmacia, due inservienti specialisti, un piantone ed un ufficio di segreteria con tre componenti.
Il lavoro del Laboratorio rimase “assiduo e diligente” anche dopo l’armistizio poiché il comando supremo aveva ordinato un’accurata analisi dei «liquidi speciali» contenuti nei proiettili dei depositi abbandonati dal nemico, specialmente di quei tipi di proiettili che non erano stati ancora esaminati. Ma all’inizio del 1919 “il lavoro si rese talmente attenuato che credetti opportuno chiedere ed ottenni (…) il trasferimento dell’Ufficio da Bologna a Padova e precisamente nell’Istituto di Chimica Farmaceutica e Tossicologica della R. Università da me diretto”[6]. La richiesta fu indirizzata alla nuova Direzione generale dei servizi chimici di guerra, che nell’estate 1918 aveva sostituito il Servizio Materiale Chimico di Guerra (SMCG), chiamato in precedenza UMCG.
Il personale fu ridotto a tre ufficiali, e qui Spica accenna ad una polemica insorta tra lui stesso e le autorità militari che volevano a quel punto coinvolgere il Laboratorio da lui diretto nell’ “opera di studio e di recupero del materiale bellico nelle terre liberate, questione questa del tutto, o quasi, estranea allo scopo pel quale io aveva preso impegno di collaborare”. Chiarisce che, nonostante avesse esposto per iscritto alle competenti autorità il suo parere sulla via da seguire per recuperare nel modo più utile ed efficace un materiale di valore incalcolabile, la proposta non aveva avuto seguito, anzi erano stati creati “numerosi uffici militari, che, pur avendo un unico scopo, assunsero nomi svariati. E ad uno di cotali uffici si opinò che il Laboratorio a me affidato dovesse asservirsi” . Di conseguenza Spica afferma che non poté trovarsi “di accordo con i nuovi uffici militari creati” e pertanto propose “lo scioglimento del laboratorio”, in considerazione anche del fatto che a due dei tre chimici rimasti, per mancanza di lavoro, aveva dato il nulla-osta per il congedo, mentre il terzo, il dott. Giosia, era necessario che tornasse alle funzioni universitarie dalle quali era stato distolto. Nell’agosto 1919 il Laboratorio aveva praticamente cessato ogni attività. La proposta di scioglimento venne inviata da Spica “con una Relazione completa economica e morale a S.E. il ministro della Guerra, avente la data del 15 settembre 1919”[7].
Durante il periodo di funzionamento del Laboratorio erano state eseguite 199 analisi descritte in 160 relazioni trasmesse ai ministeri italiani interessati, al comando supremo, alle varie commissioni, e a tutte le missioni alleate presso il comando supremo.
Spica riportava che furono ideati protocolli analitici per l’esame e lo studio di campioni di miscele complesse fino a quel momento sconosciute, inviate a Bologna dal comando supremo, e tali protocolli comprendevano prima di tutto l’esame dei caratteri organolettici e fisici del composto (stato di aggregazione, colore, odore, peso specifico, volatilità, solubilità nei vari solventi ecc.) e quindi la scomposizione e la separazione dei diversi componenti, tramite processi di cristallizzazione, sublimazione, distillazioni dirette o in corrente di vapore o a pressione ridotta. I componenti così separati venivano identificati mediante analisi elementare qualitativa o quantitativa, e lo studio del comportamento a contatto con reagenti noti.
Spica parlava di “lavoro ingrato (…) che esponeva gli analisti a gravi pericoli e non fu esente di qualche conseguenza e di fatti patologici”[8]. Gli effetti del contatto con sostanze tossiche sono riportati per molti dei composti analizzati, e non si vede in che altro modo possano essere stati descritti se non dopo che i chimici li avevano sperimentati personalmente sui banconi del laboratorio. Di una sostanza del gruppo delle arsine, la Trifenilarsina, viene detto nella relazione che: “Questo campione fu inviato in bottiglia di vetro dal Comando della VI Armata come prodotto italiano. Era sostanza solida, giallo-chiara, fusibile a 56°. Per riscaldamento dopo la fusione bruciava con fiamma fuligginosa, sviluppando vapori che producevano senso di agitazione e di ambascia: fenomeno seguito da numerosi starnuti, e dopo un paio di ore da fenomeni bronchiali. Inoltre lungo le ricerche si ebbero dolori renali ed elevazione della temperatura per la durata di un paio d’ore durante la notte[9]”.
I materiali studiati furono riuniti in sei gruppi: Liquidi speciali, Fumogeni e Segnalatori, Materie deodoranti contro i gas, Mezzi protettivi contro i gas, Materiali esplosivi, Ricerche analitiche varie.
Nella prima parte della relazione dedicata ai “Liquidi speciali”, Spica riportava come all’inizio del conflitto “allo scopo di deprimere lo spirito dei combattenti o addirittura metterli fuori combattimento” i nemici si fossero serviti di gas asfissianti, all’inizio sotto forma di gas contenuti in bombole ad alta pressione manovrate da apposito personale ben protetto, mentre successivamente prevalse l’uso di “proiettili contenenti liquidi speciali, o sostanze solide, che alla temperatura determinata dallo scoppio del proiettile, si trasformavano in nubi pesanti, ad azione diversa a seconda della loro natura chimica, e cioè: asfissiante, lacrimogena, vescicatoria, starnutatoria, ecc.”[10] Al Laboratorio furono inviati per essere esaminati proiettili di svariati calibri, oltre a bombe a mano, bombe incendiarie, bombe di aeroplani di diversi tipi, e altro materiale.
Non a caso l’analisi dei liquidi speciali esaminati inizia con la terribile Yprite, contenuta nei proiettili “a croce gialla” e dotata di forte azione vescicatoria. Molto interessante è l’esame di un campione di yprite spedito al Laboratorio il 21 maggio 1918 dalla Commissione militare di collaudo presso la Società Italiana di Elettrochimica, preparato nelle officine di Bussi, cioè di un prodotto sperimentale italiano che occorreva testare. Il composto venne studiato e confrontato con yprite contenuta nei proiettili tedeschi: “l’azione sulla cute era più lenta, limitata solo a leggero arrossamento, senza molestia”. Anche l’odore del preparato era sensibilmente diverso da quello dell’yprite tedesca. All’analisi venne riscontrata una quantità di iprite non superiore al 15-16%.
Sulla prima yprite pervenuta al Laboratorio, quella più pura e di origine tedesca, viene riportata all’interno della relazione anche una dettagliata nota, paragonabile ad un odierno articolo di ricerca, che Spica aveva pubblicato in precedenza negli Atti dell’Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti dal titolo “Sul solfuro di etile 2,2-biclorurato”, spiegando come il prodotto fosse “noto col nome di yprite, voce questa al cui suono non pochi avrebbero, come hanno perduta, la loro tranquillità”. In questa nota Spica scriveva fra l’altro che nel settembre 1918 il chimico Giuseppe Velardi era stato in grado di mettere a punto a Bologna un processo facile ed economico per la preparazione dell’Yprite “in modo da avere un prodotto tanto puro quanto quello che usavano i tedeschi contro di noi (…) processo che, se la guerra non fosse ormai per fortuna dell’umanità finita, avrebbe potuto essere adottato, nell’Italia nostra, per preparare tanto materiale da spargerne a iosa sulle schiere nemiche”. Il procedimento era stato consegnato alla presidenza dell’Istituto Veneto all’interno di un plico chiuso e non è rivelato[11].
Proseguendo nella nota Spica, dopo aver trattato le caratteristiche fisico-chimiche dell’yprite, descriveva brevemente quanto sviluppato in altri laboratori “sul modo di riconoscere il solfuro di etile biclorurato e concludeva affermando di avere fatto personalmente lo studio di due ulteriori reattivi per il riconoscimento in laboratorio dell’yprite. Il primo ricorreva ad una soluzione acetica in acqua ossigenata concentrata al 30%: la presenza di yprite era indicata dallo sviluppo di cristallini aghiformi incolori come prodotto di ossidazione dell’yprite stessa. La seconda metodica utilizzava una soluzione calda contenente monosolfuro sodico, a contatto con il quale l’yprite causava un intorbidamento bianco.
Spica concludeva la nota scrivendo che “Le prove anzidette non furono ripetute e disposte in modo da conoscere i limiti della reazione, ma è sicuro che si tratta di reazioni oltre che specifiche assai sensibili, e tra esse la seconda più della prima”[12].
La relazione di Spica sul Laboratorio di Bologna contiene anche altre due note di carattere tecnico-scientifico, redatte dai collaboratori Sturniolo, Bellinzoni[13] e Velardi[14], anch’esse pubblicate in precedenza negli Atti dell’Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti.
La relazione del prof. Spica contiene inoltre l’esame di maschere antigas di tipo austriaco. Si trattava di maschere del 1917-1918 in tessuto gommato, dotate di un filtro metallico a breve tronco di cono verniciato di grigio. Il contenuto granuloso di questi filtri, suddivisi in tre scompartimenti, è stato analizzato in tavole dettagliate ed era costituito essenzialmente da carbone e da terracotta.
Infine nella relazione di Spica sono riportati i risultati di ricerche analitiche varie effettuate dal Laboratorio di Bologna su campioni di terriccio, polveri, mastici, tubetti, palloncini e bottiglie sospette, inviati dai campi di battaglia.

Conclusioni

L’episodio del Laboratorio di Chimica Analitica dell’UMCG, creato per iniziativa politico militare in locali dell’Università di Bologna nel 1918, mette in evidenza come la prima guerra mondiale abbia coinvolto la conoscenza scientifica in modo pervasivo nelle operazioni belliche, in stretta connessione con la politica e gli apparati militari e industriali. I chimici del Laboratorio, sotto la direzione del prof. Pietro Spica dell’Università di Padova, svolsero un rigoroso e rischioso lavoro professionale di tipo analitico sulle sostanze tossiche usate dal nemico, ma non trascurarono studi originali di ricerca scientifica, arrivando a sviluppare nuove metodiche per il riconoscimento e, nel caso dell’Yprite, per la sintesi semplificata di sostanze tossiche aggressive.
In uno scenario di rincorsa senza limiti per superare gli avversari in potenza micidiale, come fu quello della “guerra chimica”, i confini tra difesa e offesa tendono infatti inevitabilmente a diventare sfumati e a confondersi.
Dopo la svolta epocale impressa dalla prima guerra mondiale, lo stretto connubio tra conoscenza scientifica e attività bellica non si è mai allentato, rimanendo al centro della riflessione e dei dilemmi contemporanei.

Note
[1] Spica 1921, 918.
[2] Lustig 1937.
[3] Filippi 1920.
[4] Spica 1921, 917.
[5] Ann. RUB 1914-1929.
[6] Spica 1921, 919.
[7] Spica 1921, 920.
[8] Spica 1921, 919.
[9] Spica 1921, 967.
[10] Spica 1921, 924.
[11] Spica 1919, 198.
[12] Spica 1919, 200.
[13] Sturniolo e Bellinzoni 1919.
[14] Velardi 1919.

Fonti primarie

Annuario della Regia Università di Bologna. Anni accademici 1914-1929. https://amshistorica.unibo.it/193

Filippi, Giovanni. 1920. “Le Università e gl’Istituti d’istruzione superiore in Italia durante la guerra. Relazione a S.E. il Ministro della Pubblica Istruzione.” Bollettino Ufficiale del Ministero della Pubblica Istruzione, a. XLVII (1920), vol. I, n. 10, 4 marzo 1920. SBN UMC0534945

Lustig, Alessandro. 1937. Patologia e clinica delle malattie da gas di guerra. Quarta edizione aggiornata e aumentata. Milano: Istituto Sieroterapico Milanese. SBN NAP0098613

Spica, Pietro. 1919. “Sul solfuro di etile 2,2’-biclorurato.” Atti del Reale Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, parte seconda, serie 9, tomo 78, Scienze fisiche e matematiche (1918-1919): 197-199. http://digitale.beic.it/primo_library/libweb/action/dlDisplay.do?vid=BEIC&docId=39bei_digitool9122377

Spica, Pietro. 1921. “Il Laboratorio di chimica analitica dell’U.M.C.G. (Ufficio materiale chimico di guerra).” Atti del Reale Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, parte seconda, serie 9, tomo 80, Scienze matematiche e naturali (1920-1921): 917-1005. http://digitale.beic.it/primo_library/libweb/action/dlDisplay.do?vid=BEIC&docId=39bei_digitool9341056

Sturniolo, Giuseppe e Giacomo Bellinzoni. 1919. “Sulla difenilcianarsina.” Atti del Reale Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, parte seconda, serie 9, tomo 78, Scienze fisiche e matematiche (1918-1919): 219-221. http://digitale.beic.it/primo_library/libweb/action/dlDisplay.do?vid=BEIC&docId=39bei_digitool9122377

Velardi, Giuseppe. 1919. “Determinazione di cianuri, cianati e bromuri simultaneamente presenti.” Atti del Reale Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, parte seconda, serie 9, tomo 78, Scienze fisiche e matematiche (1918-1919): 223. http://digitale.beic.it/primo_library/libweb/action/dlDisplay.do?vid=BEIC&docId=39bei_digitool9122377

 

Letteratura secondaria

Calascibetta, Franco. 2015. “La grande guerra di Emanuele Paternò.” Rendiconti Accademia Nazionale delle Scienze detta dei XL, Memorie di Scienze fisiche e naturali, serie V, vol. XXXIX, tomo II: 125-133. https://media.accademiaxl.it/memorie/S5-VXXXIX-P2-2015/Calascibetta%20125-133.pdf

Ciardi, Marco, e Sandra Linguerri, cur. 2007. Giacomo Ciamician. Chimica, filosofia, energia. Conferenze e discorsi. Bologna: Bononia University Press. ISBN 9788873952541

Bloch, Marc. 2004. La guerra e le false notizie. Ricordi (1914-1915) e riflessioni (1921). Roma: Donzelli editore. ISBN 9788876255281

Dall’Olio, Giuliano. 2015. “I gas di guerra nel Primo Conflitto Mondiale.” Rendiconti Accademia Nazionale delle Scienze detta dei XL, Memorie di Scienze fisiche e naturali, serie V, vol. XXXIX, tomo II: 93-103. https://media.accademiaxl.it/memorie/S5-VXXXIX-P2-2015/DallOlio93-103.pdf

Giunta, Massimo, e Daniela Taccone. 2007. “Giacomo Ciamician tra energia solare e necessità belliche.” Rendiconti Accademia Nazionale delle Scienze detta dei XL, Memorie di Scienze fisiche e naturali, serie V, vol. XXX, tomo II: 483-498. https://media.accademiaxl.it/memorie/S5-VXXXI-P2-2007/Giunta-Taccone483-498.pdf

Greco, Pietro. 2016. “La chimica italiana nel XX secolo.” La Rivista del Centro Studi Città della Scienza. http://www.cittadellascienza.it/centrostudi/2016/05/la-chimica-italiana-nel-xx-secolo/

Guerraggio, Angelo. 2015. La scienza in trincea. Gli scienziati italiani nella Prima guerra mondiale. Milano: Raffaello Cortina. ISBN 9788860307484

Seccia, Giorgio. 2005. Gas! La guerra chimica sui fronti europei nel primo conflitto mondiale. Chiari (BS): Nordpress Edizioni. ISBN 8888657584

Seccia, Giorgio. 2015. “La Grande Guerra e la chimica come arma.” Rendiconti Accademia Nazionale delle Scienze detta dei XL, Memorie di Scienze fisiche e naturali, serie V, vol. XXXIX, tomo II: 69-81. https://media.accademiaxl.it/memorie/S5-VXXXIX-P2-2015/Seccia69-81.pdf

Simili, Raffaella, cur. 1993. Scienza, tecnologia e istituzioni in Europa. Vito Volterra e l’origine del CNR. Roma-Bari: Laterza. ISBN 9788842041474

Tomassini, Luigi. 2011. “Guerra, scienza e tecnologia.” In Storia d’Italia, Annali, vol.26, “Scienze e cultura dell’Italia unita” a cura di Francesco Cassata e Claudio Pogliano, 103-128. Torino: Einaudi. ISBN 9788806195380

 

 

Elenco abbreviazioni
Ann. RUB Annuario Regia Università di Bologna
SBR Small Box Respirator
SMCG Servizio Materiale Chimico di Guerra
UMCG Ufficio Materiale Chimico di Guerra