STASI, L’OCCHIO PARANOICO DELLA DDR
di Ferruccio Gattuso -
Il più potente sistema di controllo della società. Il più efficiente e implacabile servizio segreto. L’occhio dello Stato e del regime comunista nelle case dei suoi cittadini. La nascita della Stasi rivela l’anima nera della DDR.
Una nascita silenziosa
La parola magica nell’impianto ideologico e ideale del comunismo è “rivoluzione”. Eppure, appare amaramente curioso che mai un regime comunista sia riuscito ad ottenere il potere attraverso una rivoluzione popolare. Dalla cosiddetta “Rivoluzione russa” del 1917 fino alla nascita dei regimi dittatoriali in Europa dell’Est (le altrettanto cosiddette “democrazie popolari”), il partito comunista si è impossessato dei gangli vitali del potere assoluto attraverso veri e propri colpi di stato, prove di forza volte ad esautorare le altre forze politiche. Dai bolscevichi di Lenin in Russia dopo i pochi mesi di governo provvisorio di Aleksandr Kerensky al golpe di Praga nel 1948, la storia dei comunisti al potere nel vecchio continente è costellata da azioni di forza addobbate sotto la cosmesi di un linguaggio mistificante, fuorviante e ipocrita: parole come “democrazia” e “popolo”, con le numerose declinazioni da esse discendenti, servirono solo a mascherare la realtà dei fatti. “La maggiore colpa del comunismo è la menzogna”, scrisse anni fa lo storico dissidente Aleksandr Solgenitsin.
Non stupisce dunque che, nella Germania Est del 1950, un giorno di febbraio come tanti altri, un anonimo comunicato pubblicato sulla “Neues Deutschland” dichiari, in una manciata di righe, che il giorno precedente – dopo approvazione “per acclamazione” della Camera del Popolo – l’organo denominato Direttorato per la salvaguardia dell’economia popolare (fino a quel momento dipendente dal ministero dell’Interno) sarebbe divenuto un autonomo ministero per la Sicurezza dello Stato. Un potere a sé stante. La “Neues Deutschlands”, per comprendere meglio, era l’organo ufficiale della Sozialistische Einheitspartei Deutschlands (il partito socialista Sed, nato dalla fusione, imposta dalle autorità occupanti sovietiche, di comunisti e socialdemocratici): il messaggio, mascherato attraverso la “lingua di legno” del Partito non poteva risultare nulla di veramente importante a lettori non troppo addentro alle cose dello Stato, ma da quella decisione sarebbe nata l’istituzione più potente della Germania Est, la “piovra” che avrebbe imposto quarant’anni di dittatura sulle spalle della proprio popolo.
Nasce così tra l’8 e il 9 febbraio 1950 la Stasi (Staatssicherheit, Sicurezza di Stato), una “nuova Gestapo” con cui il regime comunista promette di stanare i “sabotatori” che, agli ordini del ben noto “imperialismo angloamericano”, cercano di minare l’economia della Nuova Germania e le sue conquiste nel campo del socialismo. Si tratta di una nascita silenziosa, accomodata tra le righe di un breve trafiletto: i cittadini, ma anche gli osservatori internazionali, non vanno allertati. La sostanza è però così spiegata: la Stasi nasce per mettere in chiaro che la fase “pluralista” nella zona tedesca occupata dai sovietici è finita (le deboli formazioni democristiane e liberali scompariranno presto), che la repressione del dissenso salirà di un gradino in efficienza e sarà gestita dagli stessi tedeschi, non più dai “fratelli” sovietici, e infine che, nello scenario della Guerra Fredda e della contrapposizione tra blocchi, la Germania Est entra dichiaratamente in quello orientale guidato da Mosca e dal suo satrapo indiscutibile, Stalin.
Già qualche settimana prima della pubblicazione sulla “Neues Deutschlands”, diversi rapporti analizzati dal Consiglio dei ministri, diffusi a mezzo stampa, raccontano di sabotaggi arrecati alla produzione industriale da nemici del socialismo, come imprenditori e Junker espropriati ed espulsi in Germania Ovest e da lì operanti con l’aiuto degli americani.
Da questo momento, qualsiasi promessa non mantenuta dal regime, qualsiasi conquista non ottenuta, trova la spiegazione nelle oscure manovre della reazione e dell’imperialismo e non beninteso, nelle politiche fallimentari della dottrina marxista-leninista (quelle che imposero da subito un’economia statalizzata e collettivizzata, nelle cosiddette volkseigene Betriebe, le “imprese del popolo”).
Dalla fine della guerra al regime
Ma la cornice politica e sociale della Germania sotto la “protezione” sovietica è chiara sin dall’alba del dopoguerra. Ben prima che la Stasi nasca, dunque, le regole del gioco sono chiare a tutti: l’apparato repressivo degli occupanti sovietici funziona a pieno ritmo, e con i medesimi, oliati, meccanismi provati in decenni di regime entro i confini dell’Unione Sovietica. Spionaggio e repressione politica sono condotti direttamente dal Cremlino e dal capo indiscusso della famigerata polizia segreta NKVD, Lavrentj Beria. Inutile dire che il piano sovietico su cosa debba essere la Germania è chiaro sin dall’inizio: sin da quando il 30 aprile 1945, a Berlino non ancora conquistata, un aereo sovietico deposita su suolo tedesco, a Meseritz, nelle retrovie dell’Armata Rossa in Prussia occidentale, un gruppo di uomini molto speciali. Sono una decina, guidati da un certo Watler Ulbricht: sono tutti comunisti tedeschi, ex membri del KPD sciolto con l’avvento al potere dei nazisti nel 1933, esiliati e fuggiti in Russia alla corte di Stalin. Sarebbe meglio dire che sono tra i prescelti del dittatore georgiano, anche solo per il fatto di essere vivi e vegeti: sono i sopravvissuti alle purghe maniacali degli anni Trenta tra le file del Comintern, uomini che – come Palmiro Togliatti – possono ben dire di aver scampato la morte nelle cantine del palazzo della Lubjanka, muovendosi accuratamente tra una repressione e l’altra, cercando di guadagnare a sé lo sguardo, se non benevolo, perlomeno non ostile dell’onnipotente “Piccolo Padre”.
Questa “èlite” di comunisti di provata fede stalinista viene condotta al cospetto del maresciallo Georgij Zukov, nella località di Bruchműhle, in territorio brandeburghese a pochi chilometri da Berlino. In questa occasione il grande generale sovietico impartisce gli ordini: Ulbricht e i suoi saranno calati dall’alto a reggere il potere della nuova Germania, non prima di aver contribuito a riorganizzare la vita pubblica e l’amministrazione civile nella capitale completamente distrutta. A loro spetterà anche una fondamentale “messa in scena”: promuovere formalmente una rinascita della vita politica nel paese, agevolando la nascita di qualche partito politico, di sindacati e di altre organizzazioni sociali. In pratica, inscenare sul palcoscenico internazionale la pantomima di una nuova democrazia riemergente dalle macerie naziste. Un’operazione che, in nome dell’antifascismo, mirerà a mantenere ai comunisti le cariche e i ruoli strategici del potere. Autonomamente, infatti, l’amministrazione militare sovietica emana il 10 giugno 1945 un decreto intitolato Ordine n.2 che permette la formazione di partiti tedeschi: i primi a nascere sono quello comunista, il Kpd, il socialdemocratico, Spd, l’Unione cristiano-democratica Cdu e il partito liberal-democratico Ldp. Ma è solo una soluzione “estetica” e temporanea. La nascita di una Germania unita ed entro il blocco sovietico deve avvenire con passi graduali e oculati: dopo la resa incondizionata del III Reich, la Germania è stata infatti divisa – in omaggio agli accordi di Yalta – in quattro zone di occupazione, e dovrà essere governata “in accordo” tra le potenze di Stati Uniti, Gran Bretagna, Urss e Francia. Scoprire le carte troppo presto sarebbe controproducente.
Se sul palcoscenico ufficiale tutto sembra ricominciare alla luce della democrazia, dietro le quinte la “denazificazione” e la “rieducazione” del popolo tedesco – temi discussi a Yalta tra le potenze vincitrici – danno il pretesto a Mosca di scatenare imponenti rastrellamenti di massa, con oltre 200.000 persone imprigionate a pochi giorni dalla “liberazione”. L’Armata Rossa e la NKVD non perdono tempo né risorse, tanto che non esitano a sfruttare, per la raccolta dei prigionieri, gli ex lager nazisti, da Sachsenhausen a Buchenwald, ponendo alle loro direzioni funzionari sovietici dal curriculum impeccabile (avendo lavorato negli anni precedenti nel sistema dei Gulag). Negli Spezlagerja gestiti dalla NKVD le torture, le violenze e gli interrogatori che spingono i prigionieri all’auto-accusa sono all’ordine del giorno, l’alimentazione è studiata per portare all’inedia. Nei confronti dei prigionieri, inutile dirlo, non vengono nemmeno aperti procedimenti giudiziari: “la pena nei campi sovietici – come scrive Gianluca Falanga ne “Il Ministero della Paranoia (Carrocci Editore) – Storia della Stasi” – è una pena senza fine e senza giudizio”. Tutti possono finire nel gorgo dei campi, basta passare sotto l’accusa di essere “fascisti”, “trotzkisti”, “scissionisti”, “spie dell’imperialismo angloamericano” e, categoria dai contorni ben difficilmente sondabili, “antisovietici”.
Nel giugno 1945 nasce la prima istituzione “autoctona” deputata alla repressione: la Deutsche Volkspolizei, la Polizia del Popolo, che nel giro di un anno passa da organizzazione locale regionale a forza nazionale dipendente dal ministero dell’Interno. Quindici anni dopo, e per molto tempo a venire, i cosiddetti “Vopos” si faranno conoscere come gli agenti preposti a impedire le fughe dei propri cittadini attraverso il famigerato Muro di Berlino. Da questa istituzione, ne discende un’altra: i commissariati di polizia K5 (Kriminalpolizei 5), la cui specializzazione è nei reati politici. Sia i Vopos che i K5 si interfacciano continuamente con i sovietici, i quali – perché la prudenza non è mai troppa – si avvalgono di una rete di informatori tedeschi che, già nel 1946, può contare il considerevole numero di duemila membri. Costoro sono addetti al reperimento, per conto dei sovietici, di informazioni sugli umori della popolazione e sull’attività di qualsiasi ente tedesco. Insomma, una matrioska di controlli e spionaggio che crea sin da subito un’atmosfera di diffidenza e paranoia. I K5 sono, in fondo, gli antenati della Stasi: la direzione di questi commissariati viene affidata agli elementi più radicali e ortodossi nel dogma comunista. Il più ambizioso e capace di tutti è Erich Mielke: sarà lui – ex assassino di due poliziotti nel 1931 a Berlino, ex combattente nella guerra civile spagnola nelle file delle Brigate Internazionali (con compiti di liquidazione dei rivali anarchici e trozkisti) – a diventare il futuro padre padrone della Stasi, dopo una stagione iniziale come vice di Willhelm Zaisser, uomo “educato” a Mosca e per questo inizialmente preferito da Stalin.
I primi passi per la creazione della Staatssicherheit vengono mossi nel 1948: i vertici della Sed avanzano timidamente ai sovietici l’ipotesi di trasformare i vari K5 in un’entità compatta, dedita “alla protezione dell’economia e dell’ordinamento democratico”. A sorpresa, Stalin accetta. Il 6 maggio 1949, i K5 passano dunque sotto la direzione diretta di Erich Mielke, staccandosi dalla Volkspolizei. Questa nuova macchina di repressione deve provvedere all’arruolamento di “soldati” impeccabili, di incrollabile fede comunista: ecco perché per la selezione dei quadri Mielke viene affiancato da ben 115 istruttori sovietici. In questo stesso periodo, la Guerra Fredda subisce una brusca accelerazione: gli alleati angloamericani riportano la grande vittoria morale con il formidabile ponte aereo per disinnescare il Blocco di Berlino (che infatti viene dai sovietici interrotto a maggio 1949, dopo quasi un anno), il 23 maggio nasce ufficialmente a Bonn la Repubblica Federale Tedesca, e il 7 ottobre nasce la DDR. É sorprendente constatare come, ad ogni passo minimo della nascita della Germania Est e del suo sistema repressivo, i sovietici non si preoccupino nemmeno per un attimo di celare ciò che è palese: che sono loro i veri padroni del paese, coloro che muovono i fili delle marionette tedesche a loro sottoposte.
La Stasi in azione
Da subito, e grazie alla presenza di ormai duemila istruttori e consiglieri sovietici, la Stasi si candida ad essere perfetta gemella della famigerata Ceka. “Il cekismo – scrive Gianluca Falanga ne “Il Ministero della Paranoia” – [è]… un preciso modo di pensare, di essere, di posizionarsi psicologicamente oltre che politicamente nella dimensione della guerra civile di classe invocata dall’ideologia comunista. Si tratta di una (in)cultura nella quale si esprimono due degli aspetti peggiori della cultura del comunismo autoritario: da un lato, la legittimazione e addirittura nobilitazione dell’uso della violenza fisica e psicologica, del ricorso ai peggiori metodi polizieschi e alla manipolazione più sfacciata della verità nell’interesse del raggiungimento di un superiore ideale di giustizia sociale; dall’altro, una radicale intolleranza per tutto ciò che nella società è vivo e spontaneo, una diffidenza a priori per tutto ciò che si sottrae al controllo e deve essere dunque soffocato e disciplinato”. Una filosofia, questa, “che ammette l’esercizio del crimine ‘per fare il bene’, per migliorare il mondo e la condizione umana: una terribile mentalità disumana…” La stessa mentalità di formazioni terroristiche successivamente operative in occidente, Brigate Rosse in primis.
Su entrambi i fronti, interno ed esterno, la polizia segreta politica difende il sistema socialista e combatte i suoi avversari, a cominciare dall’Organizzazione Gehlen, antenata del Bundesnachrichtendienst (Bnd) tedesco occidentale. La brutalità poliziesca messa in atto trova, negli stessi anni, un corrispettivo in ogni paese dell’Est posto sotto l’ombrello dell’Urss, ma in Germania Est la Stasi raggiunge vette di efficienza. Il simbolo di questa polizia diventa “lo scudo e la spada”: e tale è la Stasi, scudo e spada del Partito (Schild und Schwert der Partei), entità fondamentale perché – al di là delle retorica inneggiante al popolo – il popolo è esattamente la sua prima vittima. La Stasi deve essere il braccio armato del Partito di fronte a un consenso ridottissimo del popolo.
Oltre a ciò, Partito e Stasi poggiano le loro azioni su un assioma ideologico marxista-leninista: che all’accelerazione del processo di trasformazione della società in un sistema comunista, con le sue misure necessariamente drastiche (esattamente quelle che sarebbe state prese al II Congresso della Sed nel 1952: statalizzazione dell’industria privata con innalzamento delle spese militari, produzione pesante e abbandono dei beni di consumo, collettivizzazione coatta dell’intera economia agricola, persecuzione delle istituzioni religiose con espulsione dalle scuole e dalle università dei giovani studenti credenti), si accompagna un “inasprimento della lotta di classe”. Dove per lotta di classe si deve leggere una cosa molto semplice: la reazione del popolo alle privazioni imposte dal regime. E dunque, la presenza della Stasi e la sua implacabilità sono necessari per “mantenere la barra”. In un solo anno, dal 1952 al 1953, le cifre parlano di un raddoppio del numero dei detenuti (da 37.000 a 67.000) e a un analogo raddoppio degli effettivi Stasi, da 5.000 a oltre 10.000 unità. Molti più di quanti ne potesse sfoggiare la Gestapo nazista.
Lo scenario in cui tutto ciò accade e quello della divisione mondiale causata dalla Guerra Fredda (capitalismo da una parte, socialismo dall’altra): una divisione amplificata nel seno del popolo tedesco. È la letterale divisione fisica della Germania. Quella che gli agenti della Stasi combattono è dunque una battaglia per la stessa esistenza come Stato e come sistema. E difatti sia loro sia i dirigenti politici del Partito-Stato sono atterriti dall’abbandono dell’Unione Sovietica: sanno bene che il loro potere di governo impopolare e fittizio si regge esclusivamente sulle baionette dei “fratelli” sovietici. Il giorno che i carri armati faranno macchina indietro verso Mosca, il regime della DDR potrebbe sciogliersi in poco tempo. In quei lontani primi anni ’50, Ulbricht e i suoi non hanno la minima idea di quanto ciò sia vero, e destinato a realizzarsi nel 1989.
Dalla morte di Stalin al Muro
Nonostante l’arruolamento accurato operato dalla Stasi, tra il 1950 e il 1961 ben 400 agenti Stasi fuggono in occidente. E a questi fuggiaschi vanno aggiunti i molto più numerosi cittadini che scelgono di espatriare o fuggire in Germania Ovest con gli espedienti più disperati e fantasiosi. Certo, la morte di Stalin nel marzo 1953 aveva contribuito a portare sconcerto e confusione tra le file del Partito e della Stasi. Il disorientamento ideologico è forte, e il popolo sembra intuirlo. A ciò va aggiunta l’esasperazione per le ultime misure draconiane: il Consiglio dei ministri nel mese di maggio 1953 decide che entro il 30 giugno, giorno del compleanno di Ulbricht, gli operai della DDR dovranno alzare la produzione del 10%, senza alcun aumento in busta paga. Il 16 giugno le maestranze dei cantieri di Berlino Est – Stalinalee e l’ospedale di Friedrichshain – entrano in sciopero, chiedono libere elezioni e dimissioni del governo. La mattina del giorno seguente, il 17, esplodono i primi tumulti: scioperi e cortei in diverse cittadine, aggressioni a funzionari e agenti di polizia, 12 prigioni e 13 commissariati di polizia “espugnati”, diversi agenti della Stasi rischiano il linciaggio. Nel pomeriggio del 17 giugno, cade in tutta la sua evidenza la maschera della DDR: i veri padroni entrano in azione. I carri armati sovietici entrano nelle strade di Berlino Est agli ordini del generale Pavel Dibrova, scatta lo stato di emergenza e viene proclamata la legge marziale. Per oltre un mese il governo della DDR è posto in mano ai sovietici, il gabinetto tedesco è completamente esautorato. Ventimila soldati russi soffocano nel sangue la prima ribellione anticomunista nel blocco orientale. Dopodiché, Ulbricht e i suoi vengono rimessi in sella da Mosca, e si danno alla repressione: oltre 10.000 arresti, condanne per migliaia di anni di carcere, 3 ergastoli e 7 condanne a morte, tutte eseguite, senza contare le fucilazioni per le strade dei dimostranti più accesi.
Questa rivolta resterà un trauma unico nella storia della DDR, sia per il popolo, sia per il Partito e la Stasi. Da questi eventi nasceranno il controllo totale della popolazione attraverso lo spionaggio “porta a porta” della Stasi grazie all’arma dell’arruolamento coatto e ricattatorio all’interno delle stesse famiglie tedesche, e la costruzione del Muro di Berlino nell’agosto 1961. Dalla metà degli anni ’50 alla fine degli anni ’60 la direzione della Stasi finirà nelle mani di Ernst Wollweber: sotto la sua guida, già nei primi mesi dopo la rivolta, la Staatsicherheit mette a segno tre operazioni di grande successo – Aktion Feuerwerk (Operazione fuoco d’artificio), Aktion Pfeil (Operazione dardo) e Blitz (Lampo) – che realizzano oltre un migliaio di arresti, oltre al rapimento di singoli giornalisti residenti in Berlino Ovest. La macchina propagandistica del regime promuove, a livello nazionale e internazionale, la tesi che la rivolta operaia di giugno sia stata un tentato golpe di stampo “fascista”. Gli anni successivi, che passeranno attraverso il “terremoto” della ribellione in Ungheria nel 1956, vedranno clamorosamente pendere il capo della Stasi Wollweber verso una parziale destalinizzazione del sistema, scelta che lo farà cadere in disgrazia presso il conservatore Ulbricht. A quel punto, la strada per Erich Mielke, fedele braccio destro del segretario generale della Sed, è spianata. Dal novembre 1957, con le dimissioni “per motivi di salute” (in parte reali) di Wollweber, la Stasi entra in una nuova stagione, che è poi l’arroccamento ideologico contro ogni destalinizzazione.
Sono questi gli anni in cui la Stasi dilata la propria struttura a livelli mastodontici, diventando una colossale piovra burocratica. Gli agenti hanno chiara in mente l’evidenza dei fatti del 17 giugno: cercare di riformare lo stalinismo porta allo sfascio, l’Urss deve rimanere un imprescindibile “ombrello” sopra la DDR e il potere va gestito contro il volere della popolazione. Tutti i cittadini, dunque, diventano potenziali traditori. Sotto la direzione di Mielke la Stasi si libera da ogni vincolo politico e di bilancio e si trasforma nel servizio di spionaggio più grande del mondo per agenti per numero di abitanti. Tra agenti Stasi e collaboratori informativi (Informelle Mitarbeiter: sono loro a portare la minaccia della polizia segreta in ogni luogo e in ogni persona, minando la fiducia tra cittadino e cittadino), al momento del crollo del Muro, il Grande Fratello comunista tedesco orientale poteva contare su una spia ogni 59 persone. In Urss, nello stesso anno 1989, il rapporto era di 1/595, in Cecoslovacchi di 1/867, in Romania di 1/1.553, in Polonia di 1/1.574.
La Stasi non solo opera arresti e svolge indagini su commissione del Partito: controlla e influisce sull’operato della polizia, delle forze armate e persino della magistratura. Addirittura crea una nuova voce economica con la cinica “vendita” di prigionieri politici all’Ovest: tra il 1964 e il 1989 la Germania Ovest acquista la libertà di 33.755 detenuti, portando nelle casse della DDR circa 3,5 miliardi di marchi.
Una condizione di onnipotenza, questa della Stasi, che marcerà attraverso cambi di dirigenza politica interna (da Ulbricht a Honecker) ed esteri (da Krusciov a Breznev a Mosca, il passaggio dall’atlantismo di Konrad Adenauer alla Ostpolitik di Willy Brandt in Germania ovest) la crisi petrolifera, fino alle crisi energetiche del 1973 e del 1979 e a quella economica del 1983 che colpisce per la prima volta la polizia segreta (blocco delle assunzioni e congelamento di premi e stipendi).
Di lì a poco, non saranno più le ristrettezze economiche il vero problema del regime e della sua polizia, ma il mutamento dello scenario politico internazionale. L’avvento di Michail Gorbaciov ai vertici del Cremlino, l’elezione di Ronald Reagan alla Casa Bianca e infine la parabola che avrebbe portato Urss e Usa dal confronto di una nuova Guerra Fredda ai summit per il disarmo, significavano una sola cosa: quel giorno in cui i carri armati sovietici avrebbero voltato la schiena alla DDR era imminente.
Per saperne di più
G. Falanga, Il ministero della paranoia. Storia della Stasi – Carocci editore, 2012
C. S. Maier, Il crollo. La crisi del comunismo e la fine della Germania Est – il Mulino, 1999
Anna Funder, C’era una volta la DDR – Feltrinelli, 2005
G. Knopp, Goodbye DDR. La storia, la politica e la vita nella Germania dell’Est prima della caduta del muro di Berlino – Hobby & Work Publishing, 2006